Colombia: la doppia vulnerabilità delle donne cristiane

 

Le donne indigene sperimentano sulla base del loro status di genere e di minoranza religiosa una doppia vulnerabilità. Spesso vengono “legalmente” perseguitate grazie al diritto all’autonomia indigena riconosciuto e tutelato dalla Costituzione del 1991.

Le popolazioni indigene in Colombia sono costituite da circa 1,5 milioni di persone (poco più del 3% della popolazione) e sono considerate dalla legge come una “famiglia allargata” che ha il diritto di gestire i propri affari, purché questo non vada in contrasto con la costituzione del Paese. Per questo motivo molte donne cristiane appartenenti ai vari gruppi indigeni vivono la persecuzione e sperimentano una doppia vulnerabilità a causa del loro status di genere e della loro scelta di fede.

Soraya, una ragazza 15 anni, e la sua famiglia appartengono ad una delle quattro tribù che formano la comunità indigena di circa 30.000 persone della Sierra Nevada di Santa Marta, una regione montuosa isolata nel nord della Colombia. Quest’area è considerata il centro spirituale e politico della cultura Arhuaca: le credenze e le tradizioni indigene in queste tribù prevedono rituali di stregoneria e ogni membro della tribù è chiamato a parteciparvi.

Spesso in questa regione le ragazze cristiane adolescenti, già attorno ai 14 anni, sono costrette a sposare uomini che praticano la religione tradizionale con l’intento di far loro abbandonare la fede.

Circa nove mesi fa, Soraya e un’altra ragazza, Hernán, di 14 anni, sono state convocate dai leader indigeni della tribù ed è stato chiesto loro di prendere le distanze dalla fede cristiana. L’obiettivo era quello di reintrodurle nella comunità senza mettere in pratica metodi più violenti come minacce, detenzioni, torture o costrizione a sposare un uomo scelto dai membri della tribù. Le ragazze e i rispettivi genitori hanno rifiutato di abbandonare la loro fede, ma hanno dovuto lasciare la comunità indigena per trovare un rifugio in un centro di accoglienza.

In seguito alla chiusura del centro, però, Soraya e la sua famiglia sono dovuti ritornare nella comunità di origine. Nel lento viaggio verso casa, una camminata di alcuni giorni attraverso le rigogliose montagne verdi, la madre di Soraya, Elvia, ci ha confidato di temere per se stessa e per la figlia: è possibile infatti che la famiglia venga sottoposta ad un tribunale indigeno e che venga tolta loro la libertà.

I nomi sono modificati per ragioni di sicurezza.

 

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