Modelli di governo: le analisi bibliche pentecostali

 

church_sign-wideSempre dibattute sono le modalità per organizzare gli incontri delle chiese cristiane. Quale è la liturgia da seguire? Come condurre una riunione? Come parteciparvi da credenti? Come organizzarsi? Dopo aver analizzato cosa dice il Nuovo Testamento riguardo il luogo di incontro, in questo articolo si esaminerà il modello di governo ecclesiastico considerato biblico secondo la visione pentecostale più classica.

Nel cercare quale sia il modello di governo desiderato dal Signore per la Sua chiesa, è facile quanto involontaria la tendenza a proiettare la propria situazione ecclesiale su quanto presentato dai testi biblici. Si pensi ad esempio a quanti non desiderano associarsi ad denominazione perché la Bibbia non ne fa menzione esplicita. Oppure a coloro che, come analizzato in un precedente articolo si radunano soltanto nelle case private. Leggendo la Bibbia sarà facile per ognuno vedere nelle prime comunità cristiane il modello ecclesiastico per eccellenza: il loro! E cosa dire delle più recenti modalità di culto giovanile che stanno trasformando gli incontri di culto cristiani di tutto il mondo in veri e propri concerti di musica pop che niente hanno da invidiare a quelli secolari? Chi vi partecipa afferma di sentirsi finalmente più coinvolto, entusiasta, appagato e reputa di aver ricevuto puntualmente la benedizione di Dio. Altre difficoltà le si trovano nel definire le modalità di conduzione: singolo pastore? più anziani? Parlando quindi di modelli ecclesiastici si possono sicuramente distinguere sia gli aspetti legati al governo (responsabilità, ruoli, ministeri), sia gli aspetti legati alla liturgia (luoghi, attività, periodicità). Anche i pentecostali, definita la loro diversità rispetto ai movimenti evangelici precedenti, si trovarono a dover scegliere un organizzazione spesso figlia di modelli organizzativi adottati in precedenza. In linea generale quasi tutti continuarono a seguire le modalità organizzative delle loro chiese d’origine, modificandole poi secondo quanto lo Spirito dava loro di intendere le Scritture.

Difficoltà contemporanee

Ancora oggi permane tra i pentecostali la difficoltà nel mettersi realmente d’accordo su un unico modello ecclesiastico da adottare. Basti guardare le decine di modalità di culto differenti utilizzate da altrettante denominazioni o gruppi. Ciò che però dovrebbe far riflettere ognuno è che seppur ci si senta pronti ad affermare con fermezza che la Bibbia sia l’unica norma di condotta cristiana e di fede, si dovrebbe con altrettanta fermezza concentrarsi nel ricercare in Essa cosa il Signore desideri da un incontro di Suoi figli. Per farlo, in questo caso come per tutte le altre questioni che riguardano i desideri di Dio, il credente dovrebbe allontanare dalla propria mente ogni pregiudizio, ogni idea preconcetta, ogni convinzione che derivi dal vecchio modo di ragionare maturato nel mondo. Tutti i credenti, leggendo le pagine del Nuovo Testamento dovrebbe ricercare l’aiuto indispensabile dello Spirito Santo per comprendere cosa chieda Dio ai Suoi figli per essere Lui stesso magnificato e glorificato.

Molto spesso è questo il nodo fondamentale che viene perso di vista: bisogna concentrarsi nel ricercare cosa desidera Dio dai salvati e non cosa agli uomini ritengono gli piaccia di più. La tendenza moderna è umanistica, egocentrica: si pensa che ciò che piace agli uomini in termini emozionali, sia automaticamente apprezzato da Dio. Si confonde l’emotività che nasce da eventi di massa con l’azione che lo Spirito dovrebbe compiere quando due o tre sono radunati nel nome di Cristo. Ed è così che si trasforma involontariamente quello che dovrebbe essere un incontro spirituale in un incontro emotivo, arrivando anche all’auto suggestione di massa oppure al contrario in qualcosa di estremamente asettico ed austero. Per non cadere nell’uno o nell’altro eccesso, sfogliando le pagine del Nuovo Testamento alla ricerca della volontà di Dio sugli incontri cristiani, bisognerà utilizzare un approccio esegetico rigoroso, analizzando i testi rispettandone il contesto e la varietà delle espressioni usate, considerando bene che si tratta della Parola di Dio ispirata per la chiesa di ogni tempo fino al ritorno di Cristo Gesù.

Analisi storiche: la conduzione degli incontri cristiani

Senza ombra di dubbio si può affermare che le prime guide della chiesa cristiana furono i 12 apostoli che, nel giro di poco tempo, si faranno affiancare da sette uomini. Questi diaconi (servitori) pur avendo qualità spirituali valide, li avrebbero sgravati dal compiere attività  di ordine pratico (avrebbero servito le vedove alle mense, cfr. Atti 6). Secondo le indicazioni ricevute dagli apostoli, questi collaboratori furono proposti dalla chiesa, ma furono accettati e ordinati in quel servizio dagli apostoli stessi (Atti 6:3,6).

Come esposto in articoli precedenti, agli albori i cristiani nacquero in seno alle comunità ebraiche e solo successivamente tra i gentili. Questo dato di fatto spiega come mai nel Nuovo Testamento si sviluppino e coesistano due tipi di organizzazione ecclesiastica: la prima in conformità alla cultura ebraica, la seconda in conformità alla cultura ellenistica. Nelle prime comunità nate nel contesto giudaico, il modello di governo venne in modo molto naturale ereditato dal sistema in uso precedentemente nelle sinagoghe, dove ad agire vi era un consiglio di anziani. La naturalezza con il quale si avviò la costituzione di anziani è evidente sfogliando le pagine del libro di Luca (Atti 15:2,4,6,22; 16:4). Il fatto che la Bibbia riporti questo modello di governo ecclesiastico non è da intendersi come sinonimo di volontà di Dio. Riguardo l’ordinamento di anziani nelle comunità cristiane non si trova né un ordine specifico da parte del Cristo, né una profezia da parte dello Spirito Santo. Si potrebbe perciò considerare questa scelta come una delle prime scelte fatte dai cristiani di origine giudaica e che la Bibbia riporterà fedelmente. Supporre che questi anziani venissero costituiti con semplicità quasi dando per scontata la volontà di Dio è lecito se si accetta il fatto che seppur i primi cristiani si potessero considerare neofiti in termini di fede in Cristo, non lo erano nella conoscenza della Toràh. Al contrario la conoscevano molto bene, la loro mentalità era immersa in quella cultura e quindi molto probabilmente considerarono quel sistema come valido in quanto frutto della volontà di Dio da sempre. Accettare questa scelta come dogmatica solo perché citata nelle Scritture sarebbe come accettare la scelta apostolica di sostituire Giuda con Mattia tirando a sorte come dottrinale (Atti 1:26). Anche questa fu una scelta apostolica ma non sarebbe corretto erigerla a metodo per la scelta degli anziani nelle comunità cristiane solo perché così fu fatto alle origini.

La lettera di Pietro fu scritta ai forestieri nella diaspora (1 Pietro 1:1) quindi cristiani giudei che probabilmente avevano adottato “per tradizione” anche loro il sistema di governo tipico delle sinagogheChe vi fossero diversi anziani si comprende dalla citazione che viene fatta in 1 Pietro 5:1-5 dimostra che le guide fossero degli anziani ma, non indirizzando la lettera ad una chiesa locale ma agli eletti di intere regioni dell’Asia Minore, Pietro non aiuta a comprendere realmente se quelle comunità avessero tutte un consiglio di anziani o un solo anziano conduttore. In Tito 1:5 Paolo chiede a Tito di costituire diversi anziani in ogni città. Passaggio che cita nuovamente questa figura suggerendo l’idea di una pluralità ma lascia ambiguità se si tiene conto del contesto: un periodo in cui per ogni città si potevano trovare diverse chiese che si riunivano in diverse case. Sicuramente più chiaro è il testo di Giacomo 5:15 che invitava coloro che si trovano in condizione di malattia a chiamare gli anziani della chiesa perché pregassero su di lui. In questo caso sembra evidente che la conduzione della comunità fosse affidata ad un collegio di anziani. Tenendo sempre presente la realtà giudaica in cui è immersa la lettera, si deve considerare la possibilità che anche in questo caso il sistema di governo fosse in piedi per questioni di “tradizione”. La presenza di più anziani per comunità viene infine presentata nei testi di Atti 14:23 e Atti 20:17.

Era il fondatore della comunità o un suo delegato a stabilire gli anziani della chiesa locale (Atti 14:23; Tito 1:5). Per la costituzione di questi, lo Spirito Santo ha ispirato le parole di Paolo che istruiva i propri collaboratori nell’utilizzo di criteri spirituali nella scelta. Non indicò mai quanti anziani fossero necessari per ogni comunità, non disse nulla sui loro talenti o sulle capacità personali. Si trattava di un ruolo assegnato a persone ben identificabili, non di un incarico estemporaneo. Questi potevano essere convocati in caso di necessità al di fuori degli incontri propri della comunità, come avvenne per quelli di Efeso convocati a Mileto da Paolo durante un suo viaggio missionario (Atti 20:17). Anziani supportarono Giacomo a Gerusalemme quando tutti gli altri apostoli andarono in missione (Atti 21:18) altri verranno menzionati nelle chiese della Giudea (Atti 11:30; Giacomo 5:14; 1 Pietro 5:1,5). Gli anziani avevano gli stessi compiti e le stesse responsabilità spirituali dei futuri “sorveglianti di chiesa” o vescovi che dir si voglia (cfr. Atti 20:17, 28  o Tito 1:5, 7). Questo dettaglio è reso evidente da passi come 1 Timoteo 5:17 dove si citano anziani che presiedevano gli incontri e altri che oltre a questo predicavano e insegnavano. Anche nella prima lettera di Pietro, nei primi 5 versi del capitolo 5, si trovano anziani che hanno compiti pastorali: pascere il gregge di Dio e sorvegliarlo. Versetti che spinsero i primi pentecostali (e non solo) a pensare che “anziano” fosse sinonimo di pastore. Non è un caso che in molte comunità pentecostali degli inizi il conduttore non venisse chiamato pastore ma anziano!

Nonostante i diversi testi biblici che citano gli anziani (Atti 11:30; 14:23; 15:2,4,6,22; 16:4; 20:17; 21:18) e seppur vi è il dettaglio di più d’uno per comunità (Atti 14:23; Atti 20:17) tra evangelici non esiste consensualità sull’esistenza di un vero e proprio collegio di anziani perché non è citato letteralmente che ve ne fosse uno per ogni comunità. Nelle traduzioni moderne si fa menzione del collegio di anziani in due punti soltanto. Il primo quando Paolo cita il sacerdote ed il consiglio degli anziani quali testimoni della sua vita precedente da persecutore di cristiani (Atti 22:5). In questo passaggio però, citando anche come testimone il sommo sacerdote è molto probabile che Paolo non si riferisse ad un consiglio di anziani di una comunità cristiana, quanto invece a membri della sinagoga giudaica, suoi mandanti. La seconda citazione si trova in 1 Timoteo 4:14, dove Paolo afferma che il giovane Timoteo ricevette l’imposizione delle mani da un collegio degli anziani. Ma il fatto che successivamente Paolo ricorderà quell’evento una seconda volta sostenendo di aver personalmente imposto le mani sul giovane ministro (2 Timoteo 1:6), fa sostenere l’idea che in realtà fu soltanto Paolo ad imporre le mani a Timoteo in qualità di anziano facendone così il proprio “figlio spirituale” (1 Timoteo 1:2). A supportare questa posizione si aggiunge il diverso significato dato al termine presbytérion presente in 1 Timoteo non si riferisca letteralmente ad un collegio di anziani ma all’anzianità apostolica o al privilegio spirituale di anziano. Questa traduzione spiegherebbe come mai alcuni manoscritti riportino il termine originale in greco presbytérou che significherebbe “dell’anziano” anziché presbytériou “dell’anzianità” seppur presbytérion significhi anche “privilegio per anzianità, privilegio di anziano”. Si tratta quindi di un dettaglio difficile da semplificare se non entrando nel merito delle traduzioni dall’originale. Chi propende per la collegialità vede invece una possibile altra interpretazione del significato di questa parola che seppur potesse indicare il privilegio di anzianato, si stesse comunque riferendo alla propria posizione di anziano che presiedeva il collegio degli anziani che impose le mani a Timoteo.

La conduzione nelle chiese di origine ellenica

La società greca, diversamente da quella giudaica, abituata al Sinedrio, preferiva la guida monarchica. Quindi mentre le chiesa giudaiche, in analogia con le precedenti sinagoghe, riprodussero localmente una specie di sinedrio costituendo degli anziani per le varie comunità, le chiese greche preferirono in genere la figura unica, circondata da collaboratori. La guida delle chiese dell’Asia Minore fu chiaramente di tipo monocratico. Diotrefe ad esempio, pur rappresentando un esempio negativo, rimane la dimostrazione di come un uomo, un responsabile di comunità, potesse permettersi di rifiutare gli apostoli e addirittura scomunicare i credenti a lui contrari! (3 Giovanni 1:9-10). Non è quindi da considerarsi un caso che, quando Giovanni scrisse l’Apocalisse, il Signore Gesù indirizzò sette lettere a sette diversi conduttori di chiesa (Apocalisse 2 e seguenti). Che il Signore li chiamasse singolarmente anghelos della chiesa non deve sembrare strano, poiché questo termine in originale significava letteralmente “inviato, messaggero, ambasciatore, rappresentante, responsabile”. Secondo alcuni, l’ipotesi che in Apocalisse il Signore scrisse a dei conduttori e quindi a dei vescovi o pastori è molto debole, ritenendo che quel termine potesse essere stato usato semplicemente per indirizzare il messaggio ad una comunità. Ma il fatto che il Signore Gesù si rivolse usando un tu personale e adducendo motivazioni personali riguardo i doveri verso gli altri localmente, è un punto di forza che va considerato. La differenza fra l’anghelos come persona e conduttore, da ekklēsía come comunità è evidente laddove il Signore lo mette “il messaggero” a confronto con gli altri (Apocalisse 2:13; Apocalisse 2:20; Apocalisse 3:4) e gli ricorda i suoi doveri verso i molti della sua comunità (Apocalisse 3:1). Inoltre nella Parola di Dio sono diversi i casi in cui questo termine viene usato in modo simile. Vi è il caso in cui Giovanni Battista chiamerà due dei suoi discepoli (mathetai) e li manderà dal Signore (Luca 7:19). Il brano prosegue dicendo che gli inviati di Giovanni se ne andarono (Luca 7:24). Il testo in originale riporta gli angheloi di Giovanni, dimostrando come i messi di Giovanni, lo rappresentassero. Il termine anghelos viene anche usato come corrispondente di apostolos in 2 Corinzi 8:23. In questa occasione Paolo presenterà i fratelli che accompagnavano Tito, come inviati delle chiese, letteralmente apóstoloi ekklēsiōn, cioè apostoli delle chiese. Tecnicamente avrebbe potuto scrivere angheloi ekklēsiōn. Lo stesso dicasi quindi per l’espressione “anghelos tēs ekklēsías” ad indicare il conduttore di una chiesa.

In termini teologici, rispettando la progressione della rivelazione, troveremo quindi evidente come le chiese cristiane si organizzarono prima secondo un governo simil giudaico, poi piano piano, si avvicinarono ad una forma più “monocratica”, arrivando così alla stesura dell’ultimo testo utile in termini cronologici, la Rivelazione di Giovanni, dove il Signore Gesù indirizzò le proprie lettere al conduttore, al messaggero di ogni comunità. Analogamente in termini storici, è un dato di fatto che le chiese giudaiche alla fine del primo secolo divennero minoritarie e così lo divenne anche il modello di conduzione collegiale. Nel secondo secolo infatti il modello di guida monocratica divenne quello più diffuso tra i cristiani e questo si evince dalle lettere e dagli scritti dei padri della chiesa.

Preferenze soggettive?
Qualunque tipo di guida si voglia adottare, collegiale o monocratica, si correranno sempre dei pericoli. Il testo biblico riporta insegnamenti, correzioni, incoraggiamenti e rimproveri ad entrambi i tipi di comunità. La chiesa locale senza problemi non potrà mai esistere, perché il problema dei problemi rimane l’uomo e la sua carnalità. Non sarà quindi il modello di governo che sceglieremo a salvaguardarci dai problemi ecclesiastici. Si può avere un collegio o consiglio di yes man o un pastore senza spina dorsale, in ogni caso vi sarà sempre sofferenza nella chiesa. La scelta del modello ecclesiastico biblico non deve essere qualcosa di pernicioso da ricercare a tutti i costi in senso utilitaristico. Bisogna sempre tener presente che lo stesso Dio che ha ispirato il testo dell’Antico Testamento così dettagliato in termini cerimoniali, non ha ispirato allo stesso modo il testo del Nuovo Testamento. Di conseguenza se si vuole ricercare un modello di governo biblico per applicarlo nella propria comunità, lo si dovrà fare solo per assecondare quel desiderio spirituale di coerenza alla volontà di Dio espressa nella Bibbia. La scelta dei credenti pentecostali fu infatti coerente all’evidenza biblica più chiara: nel rispetto della progressione della rivelazione, si organizzarono con un conduttore coadiuvato da un gruppo di collaboratori.

da teologiapentecostale

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