Dio, al quale appartengo e che io servo…

 

Un angelo del Dio, al quale appartengo e che io servo, mi è apparso questa notte, dicendo: “Paolo, non temere …” (Atti 27:23-24)

 

 

L’Apostolo, prigioniero sulla nave agitata nella tempesta, si alza in un contesto di angoscia e paura e con calma e autorità sovrannaturali testimonia la sua fede nel Dio vivente.

Ben oltre il felice esito della vicenda (tutti furono salvati), il nostro versetto testimonia il rapporto di Paolo con Dio, la solidità di quella relazione, la fierezza con cui egli ne parla e le certezze che è in grado di produrre nella sua vita.

Non è azzardato immaginare che su quella nave lo spirito religioso fosse risvegliato, che ciascuno si stesse rivolgendo a qualche “dio” sperando nella liberazione, senza risposta, senza alcuna serenità… sicché ogni speranza di scampare era ormai persa (v. 20).

È in questa atmosfera tetra, in cui la morte aleggia su tutti, che l’Apostolo rende la sua testimonianza di fede. Egli dice, più o meno, così: “Dio mi ha parlato, mi ha rasserenato e mi ha garantito salvezza. La nave sarà sfasciata, le vostre certezze, i vostri idoli materialistici, le vostre capacità non vi saranno d’aiuto. Ma se confidate in Lui, vedrete la Sua salvezza”.

Carissimi, questo è il compito che è stato affidato a noi che navighiamo in questo buio e tempestoso presente: annunciare il Vangelo, l’unico messaggio in grado di dare speranza quando non ve n’è più.

Ai nostri “compagni di tempesta” non basteranno, però, soltanto le nostre parole, ma sarà necessaria un’evidente e indiscutibile dimostrazione di dignità, serenità e forza. Quella che spinse Paolo a dire: “Perciò fatevi coraggio! Ho fiducia in Dio: sono sicuro che accadrà come mi è stato detto”.

Che il Signore ci aiuti a non dimenticare mai “a Chi apparteniamo e Chi stiamo servendo”.

 

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