UNA BUONA RIFLESSIONE

 

dal Blog di ADI-MEDIA
La questione dell’identità di Gesù Cristo è altresì rilevante nell’ambito del dibattito sul pluralismo religioso. Il pluralismo richiede che, almeno in linea di principio, Gesù non differisca sostanzialmente da altre figure spirituali. Se si aderisce alla visione cristiana ortodossa di Gesù, come delineata nel Nuovo Testamento, diventa impossibile sostenere il pluralismo religioso. Questa incompatibilità è chiaramente riconosciuta da John Hick:
L’ortodossia tradizionale sostiene che Gesù di Nazaret sia Dio incarnato; precisamente, il Figlio di Dio, la seconda Persona di una Trinità divina, incarnata; che si sia fatto uomo per sacrificarsi per i peccati del mondo e che abbia fondato la Chiesa per proclamare questo messaggio fino agli estremi confini della terra, in modo che tutti quelli che accettano sinceramente Gesù, come loro Signore e Salvatore, siano giustificati per mezzo della Sua morte espiatoria ed ereditino la vita eterna. Ne consegue che il Cristianesimo, unico tra le religioni del mondo, sia stato fondato personalmente da Dio … In virtù di questa premessa, è evidente che Dio desideri che tutta l’umanità si unisca a questo nuovo cammino spirituale di redenzione, in modo che il Cristianesimo prevalga su tutte le altre fedi del mondo … Il Cristianesimo è la sola religione di Dio, che offre una pienezza di vita che nessun’altra tradizione può fornire; è, quindi, divinamente destinato a tutti gli uomini e a tutte le donne senza eccezione.[1]
Il filosofo John Hick, come già evidenziato, rifiuta questa visione e propone una radicale reinterpretazione della Cristologia in termini metaforici.
Tuttavia, sorge spontanea la domanda sulla validità delle tesi di Hick. Il nostro unico, principale accesso alla vita e agli insegnamenti di Gesù è il Nuovo Testamento; quindi, è il Nuovo Testamento che veicola e plasma la nostra comprensione di chi sia Gesù. La visione d’insieme che emerge dalla testimonianza del Nuovo Testamento è che Dio era presente e attivo in Gesù di Nazaret, in un modo singolare e inedito. Non c’è alcuna indicazione che giustifichi l’idea che Gesù sia soltanto una delle tante grandi figure religiose. Nel linguaggio biblico “… Dio riconciliava con sé il mondo in Cristo …” (II Corinzi 5:19), e nelle Sacre Scritture non c’è alcun accenno al fatto che il Signore stesse operando in modo analogo attraverso altri capi e tradizioni religiose. Le civiltà del primo secolo d.C. avevano una chiara consapevolezza delle varie possibilità religiose. L’idea che esistessero molteplici percorsi spirituali alternativi al divino, con ogni popolo o cultura che seguiva una propria via distintiva, era diffusa nell’area mediterranea di quel tempo. Se gli scrittori del Nuovo Testamento avessero voluto trasmettere l’idea di una molteplicità di modi per relazionarsi con il divino, avrebbero certamente avrebbero potuto farlo. Tuttavia, non emergono indicazioni in tal senso.
Per ragioni pratiche, è impossibile operare in questa sede un’analisi esaustiva della rappresentazione di Gesù nel Nuovo Testamento, ma quanto segue indica brevemente cinque aspetti in cui Gesù si differenzia da altre figure religiose.[2]
L’importanza della storicità di Gesù
L’effettiva storicità degli eventi e degli insegnamenti attribuiti a Gesù è un elemento necessario per la fede cristiana, che non ha paralleli in altre religioni. In molte tradizioni religiose, gli insegnamenti principali possono essere considerati come svincolati dalla storicità di un individuo specifico o di un evento.
A titolo di esempio, nel 1960, il teologo protestante Paul Tillich visitò il Giappone e chiese agli studiosi buddisti di Kyoto: “Se qualche storico avanzasse argomentazioni che pongono in dubbio che un uomo di nome Gautama sia mai vissuto, quale sarebbe la conseguenza per il Buddismo?”.
Gli studiosi buddisti risposero che la questione della storicità di Gautama non era mai stata un problema per il Buddismo. “Secondo la dottrina del Buddismo, il dharma kaya [il corpo della verità] è eterno; e, quindi, non dipende dalla storicità di Gautama”.[3] In altre parole, se Gautama abbia effettivamente detto e operato quanto gli viene attribuito non influisce sulla verità dell’insegnamento buddista, che trascende gli eventi storici. Da un canto, la maggior parte dei Buddisti potrebbe sostenere la coerenza degli insegnamenti del Buddismo contemporaneo con quelli del Gautama storico; dall’altro, potrebbe anche riconoscere che il dharma buddista sia eternamente vero, e quindi indipendente dagli eventi legati alla vita di Gautama.
Allo stesso modo, nell’Induismo le dottrine sono considerate verità eterne che trascendono la storia e, quindi, non sono radicate in nessun individuo o evento in particolare. Sebbene l’Islam dia un certo peso alla storia, si può operare una distinzione tra le verità che si ritiene siano state rivelate da Allah a Maometto e la figura storica di Maometto, quale destinatario particolare di questa rivelazione. Non c’è un legame necessario tra Maometto e la rivelazione; in teoria, Allah avrebbe potuto rivelare il Corano a chiunque altro.
Il principio in questione, al contrario, non trova applicazione in Gesù Cristo. Nella fede cristiana, Gesù di Nazaret è, infatti, inestricabilmente radicato nella storia. Il Cristianesimo non si fonda semplicemente su un’antologia di insegnamenti religiosi ispirati, ma sull’intervento attivo di Dio nella storia umana. La fede cristiana ruota attorno alla rivelazione divina degli scopi per la redenzione dell’umanità peccatrice e al mezzo fornito per la nostra salvezza mediante l’incarnazione in un essere umano concreto, Gesù di Nazaret. È soprattutto l’opera che Gesù ha compiuto sulla croce e la risurrezione, e non soltanto ciò che ha insegnato, a rendere possibile la nostra riconciliazione con il Padre. L’apostolo Paolo ha affermato, senza ambiguità alcuna, che se Gesù non fosse risuscitato dai morti, la nostra fede sarebbe stata vana e sterile e, di conseguenza, saremmo rimasti in una condizione di peccato (cfr. I Corinzi 15:14-19). L’effettiva risurrezione di Gesù Cristo dalla morte, e non la suggestiva idea, teorica, della risurrezione, è fondamentale per la fede cristiana. La risurrezione rappresenta, infatti, il sigillo dell’approvazione divina per la vita e per gli insegnamenti di Gesù, la vittoria sulla morte e sul male e l’inizio di una forma di vita qualitativamente nuova (cfr. Romani 1:4; I Corinzi 15:26, 50-58). Ciò distingue la fede cristiana dalle altre religioni, come il Buddismo. Mentre è possibile giustificare gli insegnamenti buddisti a prescindere dalla vita storica di Gautama, la fede cristiana perde il suo fondamento se privata della vita, della morte e della risurrezione effettive di Gesù di Nazaret.
La rilevanza della storicità per la fede cristiana solleva, naturalmente, la questione della fiducia che si può riporre nell’accuratezza dei documenti del Nuovo Testamento riguardanti la vita e gli insegnamenti di Gesù. Nonostante le controversie e la complessità del tema, ci sono valide argomentazioni per accettare la testimonianza del Nuovo Testamento come un resoconto affidabile della vita, della morte e della risurrezione di Gesù.[4] Sebbene non sia possibile approfondire adeguatamente la questione in questa sede, è possibile notare, brevemente, una distinzione significativa tra le sfide storiche connesse al Nuovo Testamento e quelle presenti nelle fonti buddiste.
Sotto il profilo sia quantitativo sia qualitativo delle testimonianze antiche, disponiamo di un accesso molto più ampio al contesto storico di Gesù e della comunità cristiana primitiva rispetto a quanto attestato su Gautama e sulla prima comunità buddista. Il ritrovamento di numerosi manoscritti antichi del Nuovo Testamento costituisce una garanzia che ciò che ci è pervenuto, nella forma attuale, corrisponda effettivamente a quanto gli scrittori originali hanno scritto. Il professore americano di Nuovo Testamento presso il Denver Seminary, Craig Blomberg, spiega:
Gli studiosi di quasi ogni orientamento teologico concordano sulla scrupolosa attenzione con cui i libri del Nuovo Testamento sono stati copiati in lingua greca, nonché sulla successiva traduzione e conservazione in siriaco, copto, latino e in diverse altre lingue antiche europee e mediorientali. Soltanto per quanto concerne la tradizione greca sono stati conservati oltre 5.000 manoscritti e frammenti di manoscritti di porzioni del Nuovo Testamento risalenti ai primi secoli del Cristianesimo… In generale, è possibile ricostruire il 97-99% del Nuovo Testamento al di là di ogni ragionevole dubbio, e nessuna dottrina cristiana poggia esclusivamente, né tantomeno principalmente, su testi che sono oggetto di contestazione.[5]
Inoltre, l’intervallo di tempo tra la morte di Gesù e i primi scritti del Nuovo Testamento è molto più breve rispetto a quello tra la morte di Gautama e i primi testi buddisti scritti. Sebbene ci siano pochi dubbi sull’esistenza di Gautama, c’è una notevole controversia sul periodo storico in cui è vissuto, con stime sulla data di morte che variano dal 480 al 386 a.C.[6] Le prime scritture buddiste furono trascritte in lingua Pali nel I secolo a.C.; prima di allora, erano trasmesse oralmente.[7] Pertanto, supponendo che la morte del Buddha sia avvenuta nel 386 a.C. e che i testi in lingua Pali siano stati trascritti intorno all’80 a.C., c’è un divario di circa trecento anni tra la morte di Gautama e i primi scritti buddisti. Se si considera la data del 480 a.C. come anno di morte, l’intervallo è di quattrocento anni. Inoltre, i primi scritti in Pali consistevano in gran parte in istruzioni per la vita monastica e detti, storie e aneddoti del Buddha e dei suoi primi discepoli; mentre le “biografie” del Buddha comparvero ancora più tardi.
Al contrario, l’intervallo temporale tra la morte di Gesù e la stesura del Nuovo Testamento è notevolmente più breve. La crocifissione di Gesù è generalmente collocata intorno al 30 o 33 d.C.[8] Le lettere dell’apostolo Paolo furono composte tra il 50 d.C. e la fine del 60 d.C. La prima Lettera ai Tessalonicesi, probabilmente la più antica lettera del Nuovo Testamento, fu scritta dall’apostolo Paolo intorno al 50 d.C. Ciò contribuisce a ridurre l’intervallo tra la morte di Gesù e i primi scritti del Nuovo Testamento a soli diciassette o venti anni, mentre gli scritti di Paolo rientrano entro un intervallo di circa trentacinque anni dalla morte di Gesù. Il completamento dell’ultimo libro del Nuovo Testamento è stimato intorno al 90 d.C., distanziandosi di circa sessant’anni dalla morte di Gesù.[9] Questi brevi intervalli, uniti all’abbondanza di prove manoscritte per il testo del Nuovo Testamento, offrono una base molto più solida per la fiducia nell’affidabilità dei ritratti di Gesù nel Nuovo Testamento rispetto ai primi scritti buddisti su Gautama.
Gesù era monoteista
Ogni figura religiosa va esaminata nel contesto storico del suo tempo. Gesù era un ebreo che viveva in una società in cui si dava per scontata la realtà di Yahweh, l’unico Dio creatore. Come i Suoi contemporanei, Gesù era un monoteista che accettava la prospettiva dell’Antico Testamento secondo cui soltanto Yahwèh, il Dio d’Israele, è il vero Dio, creatore e sovrano di tutte le cose. L’importanza del monoteismo si manifesta nello Shemà: “Ascolta, Israele: l’Eterno, il nostro Dio, è l’unico Eterno” (Deuteronomio 6:4). Quando interrogato da un esperto religioso su quale fosse il più grande comandamento, Gesù rispose citando lo Shemà e sottolineando i comandamenti di amare Dio e il prossimo (cfr. Marco 12:28-31). Non esiste alcuna prova storica che suggerisca che Gesù abbia mai messo in dubbio l’esistenza di Dio; al contrario, la realtà di Dio è presupposta in tutto ciò che Gesù dice e compie.
Mentre alcune figure spirituali, come Maometto, sono monoteiste, molte altre non lo sono. Le opinioni di Confucio su Dio o sugli dèi sono da tempo oggetto di dibattito, con alcune interpretazioni che lo ritraggono come una sorta di teista, mentre altri che lo considerano agnostico sull’argomento. Il Buddha rifiutò gli insegnamenti brahmanici sulla realtà di Brahman, l’essere supremo dell’Induismo, e il Buddismo è stato generalmente inteso come un rifiuto dell’idea di un Dio creatore. Nonostante l’idea diffusa in Occidente che considera il Buddismo semplicemente agnostico nei confronti di Dio, tale concezione è una recente e fuorviante innovazione.[10] Molte delle tradizioni buddiste sono storicamente caratterizzate dall’ateismo. Lo studioso buddista dello Sri Lanka, K. N. Jayatilleke, osserva che, se per “Dio” intendiamo un essere supremo e creatore, allora “il Buddha è ateo e il Buddismo, sia nella sua forma Theravada sia in quella Mahayana, è ateo… Nel negare che l’universo sia il prodotto di un Dio personale, che lo crea nel tempo e pianifica il suo compimento alla fine dei tempi, il Buddismo è una forma di ateismo”.[11] Paul Williams, uno dei principali studiosi del Buddismo ed ex buddista convertitosi al Cattolicesimo Romano, afferma:
I Buddisti non credono nell’esistenza di Dio. Questo è un punto su cui non è necessario discutere. Nella pratica del Buddismo, il concetto di Dio è completamente assente, non ricopre alcun ruolo, e nei testi buddisti non è difficile riscontrare critiche all’esistenza di un Creatore onnipotente e benevolo dell’universo.[12]
Quindi, una delle distinzioni significative tra Gesù e altre figure religiose risiede nel Suo chiaro e inequivocabile impegno nell’affermazione della realtà di un Dio creatore eterno.
Tratto dal libro “Tutte le religioni sono vere?”
[1] John Hick: “A Pluralist View”, in Four Views on Salvation in a Pluralistic World, a cura di Dennis L. Okholm e Timothy R. Phillips, Zondervan, 1996, pp. 51, 52.
[2] Per un utile approfondimento dei dati biblici su Gesù in relazione alle questioni del pluralismo religioso, consulta James R. Edwards, Is Jesus the Only Savior?, Eerdmans, 2005.
[3]Fai riferimento a Robert W. Wood (a cura di), “Tillich Encounters Japan”, Japanese Religions, 2 Maggio 1961, pp. 48–71.
[4]Approfondisci Craig L. Blomberg, Who Is Jesus of Nazareth?, Lexham Press, 2021. Per ulteriori approfondimenti di natura storica del Nuovo Testamento e della fede cristiana, si consiglia la lettura delle seguenti opere: Colin Brown, “Historical Jesus, Quest of”, in Dictionary of Jesus and the Gospels, a cura di Joel B. Green, Scot McKnight e I. Howard Marshall, IVP, 1992, pp. 326-341; Craig Blomberg, The Historical Reliability of the Gospels, 2° ed., IVP, 2007; Paul Barnett, Is the New Testament Reliable? 2° ed., IVP, 2003; e Craig A. Evans, Fabricating Jesus: How Modern Scholars Distort the Gospels, IVP, 2006.
[5] Craig Blomberg: “The Historical Reliability of the New Testament”, in William Lane Craig, Reasonable Faith: Christian Faith and Apologetics, 2° ed., Crossway, 1994, pp. 194, 195.
[6]Sulle questioni storiche relative alla vita di Gautama il Buddha, consulta le seguenti opere: Donald W. Mitchell, Buddhism: Intro ducing the Buddhist Experience, 2° ed., Oxford University Press, 2008, pp. 9–32; Hajime Nakamura, Gotama Buddha: A Biography Based on the Most Reliable Texts, vol. 1, trad. Gaynor Sekimori, Kosei, 2000; e David Edward Shaner: “Biographies of the Buddha”, Philosophy East and West, n. 37, Luglio 1987, pp. 306–322.
[7]Vedi Mitchell, Buddhism, op. cit., p. 66.
[8] Per quanto riguarda le questioni relative all’anno della morte di Gesù, consulta Joel B. Green: “Death of Jesus”, in Dictionary of Jesus and the Gospels, pp. 148, 149.
[9] Per ulteriori approfondimenti sulle date e sulle questioni relative a ciascun libro del Nuovo Testamento, consulta: D.A. Carson e Douglas J. Moo, An Introduction to the New Testament, 2° ed., Zondervan, 2005.
[10] Si suggerisce, a titolo di esempio, Julia Ching, Confucianism and Christianity: A Comparative Study, Kodansha International, 1977.
[11] K. N. Jayatilleke, The Message of the Buddha, a cura di Ninian Smart, Free Press, 1974, p. 105.
[12] Paul Williams, The Unexpected Way: On Converting from Buddhism to Catholicism, T&T Clark, 2002 p. 25. Per ulteriori approfondimenti sulle critiche buddiste nei confronti del teismo, si consiglia la lettura dei seguenti testi: Gunapala Dharmasiri, A Buddhist Critique of the Christian Concept of God, Golden Leaves, 1988; Paul Williams, “Aquinas Meets the Buddhists: Prolegomenon to an Authentically Thomas-ist Basis for Dialogue”, in Aquinas in Dialogue: Thomas for the Twenty-First Century, a cura di James Fodor e Christian Bauerschmidt, Blackwell, 2004, pp. 87–117.
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