Corso di Cultura Biblica LA STORIA DELLA CHIESA LA DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO NELL’ IMPERO FINO ALL’ ANNO 100

LA PIENEZZA DEI TEMPI
In Galati 4:4 Paolo richiama l’attenzione sull’era storica di provvidenziale preparazione che
precedette la venuta del Cristo sulla terra in forma umana: “Quando giunse la pienezza dei tempi, Iddio
mandò il suo Figliuolo…” ed anche Marco (1:15) mette in rilievo che la venuta del Cristo ebbe luogo
quando tutto fu pronto sulla terra. L’esame attento degli avvenimenti che precedettero l’apparizione del
Cristo sulla terra porta il serio studioso di storia a riconoscere la verità delle affermazioni fatte da Paolo e
Marco.
Si e dimenticato, nella maggioranza delle discussioni su tale argomento, che alla preparazione, sotto
il profilo religioso, della venuta di Cristo non contribuirono solo i Giudei.
L’apporto di questi ultimi, benché invero negativo, fu tuttavia di grande aiuto nel creare il
movimento storico nel quale il Cristo poteva fare sentire meglio il suo peso, in una maniera non possibile
prima o al momento della sua nascita. Questa preparazione verrà messa in luce qualora venga esaminato il
contributo politico, intellettuale e religioso recato dai grandi popoli del primo secolo precedente l’era
cristiana.
I. APPORTI POLITICI
Il maggiore contributo politico alla storia che precede la venuta di Cristo venne dato dai Romani.
Questo popolo, che seguiva le vie dell’idolatria, fu usato da Dio per l’adempimento della Sua volontà che
esso ignorava.
A. Senso di imita del genere umano.
Come nessun altro popolo aveva fatto fino a quel tempo, i Romani avevano dato vita ad un senso
dell’unità del genere umano sotto una legge universale. Questo senso di solidarietà dell’uomo nel seno
dell’Impero creo un ambiente favorevole a ricevere un Evangelo che proclamava l’unita della razza umana
accomunata dalla punizione per il peccato, sotto cui si trovano tutti gli uomini, e dal fatto che a tutti veniva
offerta una salvezza che li rendeva parte di un organismo universale, la Chiesa cristiana, corpo di Cristo.
Nessun impero dell’antico Vicino Oriente, nemmeno l’impero di Alessandro Magno, era riuscito a
dare agli uomini un senso della loro unità in una organizzazione politica. II raggiungimento della unità
politica sarebbe stato compito particolare di Roma. L’applicazione della legge romana per tutti i cittadini in
qualunque parte dell’impero, veniva fatta quotidianamente sentire, ai Romani ed ai sudditi dell’Impero,
dall’imparzialità dei tribunali. Questo sistema era frutto della legge consuetudinaria della prima monarchia
e venne poi codificato nel V sec. a. C., agli inizi della repubblica, nelle Dodici Tavole, divenute parte
essenziale dell’educazione di ogni fanciullo romano. Con la conoscenza che il pretore peregrinus, il
magistrato incaricato di trattare i casi giudiziari nei quali erano coinvolti stranieri, acquistava dei loro
sistemi giuridici, si accrebbe nei Romani la coscienza che i grandi principi del diritto romano erano presenti
anche nella legislazione delle altre nazioni.
Cosi il codice delle Dodici Tavole, basato sulla consuetudine, si arricchì delle leggi di altre nazioni.
Seguendo la propria inclinazione filosofica i Romani spiegarono queste similarità prendendo a prestito il
concetto greco di una legge universale i cui principi erano scritti nella natura dell’uomo e che potevano
venire scoperti tramite processi razionali.
Un ulteriore passo in avanti nel promuovere l’idea di unità fu la concessione della cittadinanza
romana ai non Romani. Questo processo, iniziato nel periodo precedente la nascita di Cristo, fu completato
nel 212 da Caracalla con la concessione a tutti gli uomini liberi dell’impero romano del diritto di
cittadinanza. Poiché l’Impero comprendeva tutto il mondo che, nella storia di quell’epoca, era quello intorno
al bacino del Mediterraneo, tutti gli uomini erano praticamente sotto un unico sistema giuridico e cittadini
di un solo stato.La legge romana, con l’ importanza da essa annessa alla dignità dell’individuo e al diritto alla
giustizia ed alla cittadinanza romana, e con la sua tendenza ad amalgamare uomini di differenti razze in una
sola organizzazione politica, anticipava un Evangelo che proclamava l’unità del genere umano nella
presentazione della punizione per il peccato e di un Salvatore da questo. Paolo rammentava ai cristiani della
Chiesa di Filippi che erano membri di una nazione celeste (Filippesi 3:20).
B: La pace
La libertà di movimento nel mondo mediterraneo dei messaggeri dell’Evangelo sarebbe stata molto
difficile prima del regno di Cesare Augusto (27 a. C. – 14 d. C.) perché la divisione del mondo antico in
piccole unita gelose, città-stato o tribù, impediva i viaggi ed il diffondersi delle idee.
L’estendersi del potere imperiale romano, durante il periodo di formazione dell’Impero, nei
paesi intorno al Mediterraneo diede luogo a un periodo di pacifico sviluppo. Pompeo aveva
spazzato i pirati dal Mediterraneo e i soldati romani mantenevano la pace sulle strade di Asia, Africa ed
Europa. Questo mondo relativamente pacifico rendeva facili ai primi cristiani gli spostamenti da un
luogo all’altro che consentivano loro di predicare l’Evangelo a tutti in ogni dove.
C. Le strade romane
I romani costruirono un eccellente rete di strade che irradiandosi dalla pietra miliare del Foro
Romano giungeva a tutte le parti dell’Impero. Le strade principali erano costruite di calcestruzzo perché
servissero per secoli. Esse traversavano monti e valli fino alle estremità dell’Impero ed alcune di esse sono
in uso ancora oggi. Uno studio dei viaggi di Paolo lascerà l’impressione che egli facesse largo uso della
eccellente rete stradale per muoversi da un centro strategico dell’Impero all’altro. Se Traiano, il grande
artefice dell’Impero, aveva una visione dell’imperialismo romano, Paolo, artefice dell’impero di Cristo, la
Chiesa, aveva una visione dell’imperialismo cristiano che abbracciasse non solo l’impero romano ma il
mondo intero. Le strade romane e le città strategiche ubicate lungo il loro tracciato furono un aiuto
indispensabile nella realizzazione di questa visione.
D. L’esercito romano
La parte avuta dall’esercito romano nello sviluppo di una organizzazione ideale ed universale non
dovrebbe essere ignorata. Con lo scemare del numero dei cittadini romani, dovuto alla guerra ed agli agi, i
romani presero l’abitudine di arruolare provinciali nell’esercito. Costoro, messi a contatto colla civiltà
romana contribuirono a diffonderne le idee in tutto il mondo antico. Inoltre, alcuni di questi uomini si
convertirono al cristianesimo, diffondendo poi l’Evangelo nelle regioni a cui venivano assegnati per il
servizio militare.
La primissima diffusione del cristianesimo in Gran Bretagna potrebbe cosi essere il risultato degli
sforzi di soldati di stanza in quel paese.
L’esame dei fattori fin qui discussi porta alla conclusione che nei giorni della infanzia del
cristianesimo, l’impero romano fornisse a questo un ambiente politico tale da favorirne la diffusione. Ne la
Chiesa del Medioevo fu mai in condizione di liberarsi della gloria di Roma imperiale, ed anzi cercò di
perpetuarne gli ideali in un sistema ecclesiastico.
II. APPORTI INTELLETTUALI
Per quanto grande fosse il contributo di preparazione alla venuta del cristianesimo di cui fu artefice
Roma, esso vede diminuire la propria importanza al confronto di quella fornita dall’ambiente intellettuale,
frutto della mente greca. Alla creazione dell’ambiente politico in cui nacque il cristianesimo
viene associata la città di Roma, ma alla creazione dell’ambiente intellettuale che tanto contribuì allapropagazione dell’Evangelo concorse Atene. Benché i Romani fossero politicamente vincitori sui Greci,
questi ultimi, come afferma Orazio, vinsero sul piano culturale i Romani. Il pratico Romano costruiva
buone strade, ponti imponenti e begli edifici pubblici, ma il Greco elevava sublimi edifici intellettuali. Sotto
l’influenza greca, alla semplice cultura agreste degli inizi della repubblica subentrò l’intellettualismo
dell’Impero.
A. La lingua universale
Per poter avere la massima forza d’urto, l’Evangelo universale aveva bisogno di una lingua
universale. Sin dai tempi della torre di Babele gli uomini hanno cercato di creare una lingua universale per
poter liberamente scambiarsi le loro idee. Come l’inglese nel mondo moderno ed il latino nel mondo erudito
del Medioevo, cosi il greco era divenuta la lingua universale del mondo antico all’epoca della comparsa
dell’Impero Romano. La maggioranza dei romani colti conoscevano sia il latino che il greco.
Di grande interesse e il processo per mezzo del quale il greco divenne lingua volgare d’importanza
mondiale. Il dialetto attico usato dagli ateniesi ebbe vasta diffusione nel V sec. a. C. con l’accrescersi
dell’impero ateniese. Nonostante la distruzione di questo impero, avvenuta alla fine del V secolo, il dialetto
di Atene, che era quello della letteratura greca classica, divenne la lingua che, tra il 338 e il 146 a. C.,
modificata ed arricchita da Alessandro Magno, dai suoi soldati e dai mercanti del mondo ellenistico, si
diffuse in tutto il mondo mediterraneo.
Questo dialetto parlato dal popolo, conosciuto col nome di Koinè e differenziatosi dal greco
classico, permise ai cristiani di stabilire contatti con i popoli del mondo antico e di scrivere in esso il Nuovo
Testamento, ed agli Ebrei di Alessandria di avere una versione del Vecchio Testamento detta dei Settanta.
Fino a data recente, a causa della differenza tra esso ed il greco dei classici, si ignorava che il greco del
Nuovo Testamento fosse il greco parlato comunemente ai giorni di Cristo. Un teologo tedesco giunse
persino ad affermare che la lingua neotestamentaria era una forma speciale di greco ispirata dallo Spirito
Santo per la stesura del libro sacro. La scoperta che il greco del Nuovo Testamento era quello usato
dall’uomo comune del primo secolo negli atti relativi ai suoi affari, scritti su papiri, e nei documenti
essenziali alla sua vita quotidiana, venne fatta da Adolf Deissman, verso la fine del secolo scorso. Da allora,
studiosi come il Moulton ed il Milligan hanno dato alla scoperta del Deissman una sana base scientifica per
mezzo dello studio comparato del vocabolario dei papiri e di quello del Nuovo Testamento. Questa scoperta
ha favorito la pubblicazione di numerose traduzioni in lingua moderna. Se ai suoi inizi l’Evangelo era scritto
nella lingua dell’uomo comune, sostengono i traduttori, esso dovrebbe esser tradotto nella lingua dell’uomo
del nostro tempo.
B. La cultura greca
La filosofia greca può essere considerata un elemento di preparazione alla venuta del cristianesimo.
Chiunque venisse a conoscenza dei suoi princìpi, fosse Greco o Romano, scopriva presto che questa
disciplina intellettuale rendeva la sua religione politeistica razionalmente tanto priva di senso da spingerlo
ad allontanarsene per volgersi alla filosofia che, pure, non riusciva a soddisfare i suoi bisogni spirituali, e
questo ne faceva cosi uno scettico o lo spingeva a cercare conforto nelle religioni misteriche esistenti
nell’impero romano.
All’epoca dell’avvento di Cristo, la filosofia era decaduta dalle vette raggiunte da Platone, fino a
divenire sistema di egoistico pensiero individualistico, come lo stoicismo e l’epicureismo. Essa poi poteva
effettuare una ricerca di Dio e presumerne l’esistenza come astrazione intellettuale, ma non poteva mai
rivelare un Dio personale di amore. L’incapacità della filosofia di adempiere a tale compito, all’epoca della
venuta di Cristo, disponeva la mente dell’uomo ad un atteggiamento più spirituale verso la vita. Solo il
cristianesimo era in grado di riempire il vuoto esistente nella vita spirituale del tempo.
Altro contributo dei grandi filosofi greci alla causa del cristianesimo fu l’appello ai Greci dell’epoca,
perché rivolgessero la loro attenzione ad una realtà trascendente il mondo temporale e relativo nel qualevivevano. Sia Socrate che Platone, vissuti ambedue nel V sec. a. C., insegnavano che questo mondo attuale,
passeggero, dei sensi, non e che un’ombra del mondo reale nel quale i più alti ideali sono costituiti da
astrazioni intellettuali: il bene, il bello, il vero. Essi insistevano nell’affermazione che la realtà non e
costituita dal temporale e dal materiale ma dallo spirituale ed eterno. La loro ricerca della verità non li
conduceva mai ad un dio personale, ma presentava il meglio che l’uomo potesse fare nella ricerca di Dio per
mezzo dell’intelletto. Il cristianesimo offriva a queste persone che accettavano la filosofia di Socrate e di
Platone la rivelazione storica del Bene, del Bello e del Vero nella persona del Cristo, uomo-dio.
La letteratura e la storia greca convincono il lettore che la preoccupazione dei Greci era diretta a
questioni riguardanti il giusto e l’ingiusto e il futuro eterno dell’uomo. Nel suo dramma, “Agamennone”,
Eschilo nell’affermare che i guai di Agamennone sono conseguenza delle sue cattive azioni, si avvicina
all’affermazione biblica: ” Sappiate che il vostro peccato vi ritroverà” (Numeri 32: 23). Ma la concezione
greca del peccato non considerò mai questo come qualcosa che andasse al di la di una questione contrattuale
e meccanica; non era mai ritenuto un problema personale che recasse offesa a Dio e ferisse gli altri.
All’epoca della venuta di Cristo, gli uomini si resero conto, come non era mai avvenuto prima,
dell’insufficienza della ragione umana e del politeismo. Le filosofie individualistiche di Epicuro e di
Zenone e le religioni dei misteri testimoniano tutte del desiderio dell’uomo di un rapporto più personale con
Dio. Al suo sopraggiungere con l’offerta di questa possibilità, il cristianesimo trovo molti cuori affamati,
conseguenza questa dell’inadeguatezza della cultura greca.
III. APPORTI RELIGIOSI
Tra i contributi religiosi che permisero di raggiungere la “pienezza dei tempi”, oltre a quello fidato
dagli Ebrei, vi sono quelli dei greci e dei romani. Ma per quanto grandi siano stati quelli di Atene e Roma,
l’apporto dato dai Giudei risulto il patrimonio ereditario del cristianesimo. Nonostante lo sviluppo avvenuto
nella sfera politica di Roma e l’ambiente intellettuale creato dalla cultura greca e che esso dovette affrontare,
il legame del cristianesimo col giudaismo fu molto più intimo. Quest’ultimo può essere considerato come il
gambo dal quale sarebbe sbocciata la rosa del cristianesimo.
A. La religione romana
A seguito delle conquiste romane molti popoli persero la fede nei loro dii che non erano stati in
grado di salvarli dalle sconfitte subite, venendosi cosi a trovare in una situazione di vuoto spirituale che non
poteva essere riempito soddisfacentemente dalle religioni del tempo. Inoltre quei sostituti che aveva da
offrire Roma per le perdute religioni riuscivano soltanto a far avvertire la necessita di una religione più
spirituale. Il culto dell’imperatore romano, che fece la sua comparsa agli inizi dell’era cristiana, era soltanto
un mezzo inteso a far leva sul popolo al fine di rendere tangibile il concetto di un impero romano.
Le varie religioni dei misteri, che sembravano offrire qualcosa di più nel campo spirituale ed
emotivo, furono le maggiori rivali del cristianesimo. Il culto di Cibele, la grande madre terra, che era stato
introdotto dalla Frigia, con i suoi riti dedicati alla Idea della fecondità, come il dramma della morte e
risurrezione del marito di questa, Atti, che sembrava soddisfare il bisogno di emozioni dell’uomo. Simile a
questo per l’importanza attribuita alla morte e alla risurrezione, il culto di Iside, proveniente dall’Egitto. II
culto di Mitra, introdotto dalla Persia, esercitava un particolare richiamo sui soldati dell’Impero Romano.
Esso aveva una festività in dicembre, con una personificazione del male, un salvatore nato in maniera
miracolosa,Mitra, salvatore dio. Tutte queste religioni si imperniavano su un salvatore dio. Il culto di Cibele
richiedeva il sacrificio di un toro ed il battesimo degli adepti col sangue di esso. Quello di Mitra
comprendeva, tra le altre cose, pasti sacrificali. L’influenza di queste religioni faceva apparire poco strane le
pretese del cristianesimo sull’individuo. Molti, accortisi dell’inutilità dei sacrifici cruenti di queste religioni,
furono spinti dallo Spirito Santo ad accettare la realtà offerta loro nel cristianesimo.B. La religione greca
Anche i Greci diedero il loro apporto alla preparazione del mondo ad accettare la religione cristiana
al suo apparire. L’avvento della filosofia materialistica greca nel VI secolo a. C. aveva distrutto la fede del
vecchio sistema politeistico descritto da Omero nell’Iliade e nell’Odissea, e benché elementi di questo culto
si perpetuassero nella religione dello stato, che era soltanto esteriore, questa perse presto la sua vitalità. Ciò
spinse il popolo verso la filosofia, che vide ben presto sfiorire anch’essa il suo vigore. Sotto i successori dei
sofisti la filosofia era divenuta infatti un sistema di individualismo pragmatico o, come si riscontra negli
insegnamenti dello stoico Zenone o di Epicuro, un sistema di individualismo soggettivo. Lucrezio,
l’esponente poetico della filosofia epicurea, fondava il suo insegnamento del disprezzo per il soprannaturale
su una metafisica materialistica, secondo la quale anche lo spirito dell’uomo era considerato formato da un
tipo di atomi benché di minori dimensioni. Lo stoicismo ammetteva il soprannaturale, ma il suo dio si
identificava tanto intimamente con la creazione da costituire un sistema panteistico. Pur insegnando che
Dio e padre di tutti e che gli uomini sono tutti fratelli, e pur propugnando un codice etico di alto valore, lo
stoicismo lasciava quindi all’uomo il compito di ricavare da procedimenti razionali la sua forma di
obbedienza alle leggi naturali che egli avrebbe scoperto con la sua sola ragione.
I sistemi filosofico-religiosi greci e romani recarono cosi ambedue un contributo alla venuta del
cristianesimo, distruggendo le vecchie religioni politeistiche e mostrando l’incapacità della ragione umana
di giungere a Dio.
Le religioni misteriche, alle quali si rivolgevano molti, abituarono le menti a pensare in termini di
peccato e di redenzione. Cosi all’apparire del cristianesimo, i popoli dell’impero romano erano più ricettivi
nei riguardi di una religione che sembrava offrire una concezione spirituale della vita.
C. La religione giudaica
Contrariamente a quanto avveniva per i Greci, gli Ebrei non cercavano di scoprire Iddio attraverso
procedimenti della ragione umana, anzi partendo dall’assunto della Sua esistenza Gli accordavano
prontamente l’adorazione che ritenevano esserGli dovuta. A questa condotta essi erano stati spinti dal fatto
che Dio li aveva scelti e Si era storicamente rivelato loro attraverso le Sue apparizioni ad Abramo e agli altri
grandi capi della nazione. Gerusalemme era divenuta il simbolo di una positiva preparazione religiosa alla
venuta di Cristo; la salvezza sarebbe venuta invero “dai Giudei” (Giovanni 4:22). Da questa piccola nazione
vinta, posta al crocevia dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa, sarebbe venuto un Salvatore.
1. Per l’importanza attribuita ad un sano monoteismo spirituale, il giudaismo costituiva uno stridente
contrasto con la generalità delle religioni pagane. Dopo il ritorno dalla cattività di Babilonia, i
Giudei infatti non erano mai più ricaduti nell’idolatria. Il messaggio loro indirizzato da Dio
attraverso Mosè era quello della fedeltà all’unico vero Dio di tutta la terra; gli dei pagani erano solo
idoli che i profeti ebrei condannavano in termini espliciti.
Questo elevato monoteismo aveva ricevuto diffusione durante i tre secoli precedenti la venuta di
Cristo per mezzo di numerose sinagoghe sparse in tutto il bacino del Mediterraneo.
2. I Giudei offrivano agli uomini la speranza della venuta di un messia che avrebbe portato la giustizia
su questa terra. Tale speranza messianica contrastava nettamente con l’aspirazione nazionalistica
cantata da Orazio in uno dei suoi carmi ove descriveva la venuta di un ideale principe romano, figlio
nascituro di Augusto. Nel mondo romano la speranza di un messia si era diffusa tra il popolo per
mezzo della incessante proclamazione fattane dai Giudei, e anche i discepoli dopo la morte e
risurrezione di Cristo, erano in attesa di un regno messianico terreno (Atti 1:6). E’ perciò molto
probabile che i magi che apparvero in Gerusalemme poco dopo la nascita di Cristo, fossero a
conoscenza di questa speranza. L’aspettativa di molti cristiani d’oggi aiuta a comprendere
l’atmosfera di aspettativa esistente nel mondo giudaico circa la venuta del Messia.3. Nella parte morale della propria legge, il Giudaismo offriva inoltre al mondo il più puro sistema
etico esistente; l’elevatezza dei Dieci Comandamenti era in stridente contrasto con i sistemi etici
prevalenti in quel tempo e la loro ancor più corrotta attuazione pratica da parte di coloro che li
professavano. Per il Giudeo il peccato non era la inadempienza esteriore, meccanica e contrattuale
dei Greci e dei Romani, ma una violazione della nota volontà di Dio che si esprimeva in un cuore
impuro e quindi in manifesti atti esteriori di peccato. Questa concezione morale e spirituale del
Vecchio Testamento dava vita ad una dottrina del peccato e della redenzione che affrontava in
forma reale il problema del peccato. La salvezza veniva da Dio ed i sistemi etici razionalistici o le
religioni soggettive misteriche non avrebbero potuto aiutare l’uomo a trovarla.
4. Il popolo ebreo contribuì ancor maggiormente nel preparare la via alla venuta del cristianesimo
fornendo alla Chiesa nascente un libro sacro, il Vecchio Testamento. Il profondo senso del debito di
riconoscenza di Cristo e degli apostoli per il Vecchio Testamento e la loro riverenza per esso, in
quanto Parola di Dio, risulteranno evidenti anche ad uno studio superficiale del Nuovo Testamento.
Molti gentili lo avevano letto, familiarizzandosi cosi con le dottrine della fede giudaica; questo fatto
ci viene presentato nelle esposizioni di numerosi proseliti al giudaismo, molti dei quali poterono
passare dal giudaismo al cristianesimo, proprio a motivo del Vecchio Testamento, il libro sacro
della neonata Chiesa. Molte religioni, tra cui ad esempio quella mussulmana, si rifanno, per i loro
testi sacri, ai loro fondatori ma Cristo non lasciò scritti sacri. La letteratura vivente della Chiesa
sarebbe stata costituita dai libri del Vecchio e del Nuovo Testamento scritti sotto l’ispirazione dello
Spirito Santo.
5. Agli Ebrei si deve anche l’istituzione la cui utilità nel sorgere e nello sviluppo del cristianesimo
primitivo e spesso dimenticata dai cristiani: la sinagoga ebraica. Nata per necessita a causa della
lontananza forzata degli Ebrei dal tempio di Gerusalemme, durante la cattività di Babilonia, essa
divenne parte integrale della loro vita. Attraverso di essa gli Ebrei, ed anche molti Gentili, vennero a
conoscenza di una più alta concezione della vita. La sinagoga era il primo luogo in cui Paolo si
recava a predicare; nelle città che egli raggiungeva nel corso dei suoi viaggi missionari essa divenne
la casa di predicazione del cristianesimo primitivo. H ragionamento secondo il quale il sistema di
governo praticato nella Chiesa primitiva doveva molto ai suoi antecedenti della sinagoga ha alcuni
fondamenti reali: gli anziani e i diaconi della Chiesa primitiva sono reminiscenza di incarichi simili
della sinagoga ebraica. Il giudaismo fu veramente il pedagogo per condurre gli uomini a Cristo
(Galati 3:23-25).
Tutto ciò che e stato discusso fin qui mostra come le condizioni di tempo e di luogo nel periodo del
sorgere del cristianesimo fossero le più propizie. In nessun altro periodo della storia del mondo antecedente
alla venuta di Cristo si trovo un territorio cosi vasto sotto l’imperio di una sola legge e di un solo governo. Il
mondo mediterraneo aveva inoltre una sola cultura, il cui centro era Roma. Una lingua universale rese
possibile la presentazione dell’Evangelo alla maggioranza Idella popolazione dell’Impero in un idioma
comune ad essa ed al predicatore.
La Palestina, culla della nuova religione, occupava una posizione strategica nel mondo di quel
tempo. Paolo aveva ragione nel proclamare che il cristianesimo non e qualcosa di “fatto in un cantuccio”
(Atti 26:26), perché la Palestina era un importante crocevia che collegava l’Asia e l’Africa con l’Europa a
mezzo di una grande strada di comunicazione terrestre. Molte delle più importanti battaglie della storia
antica furono combattute per il possesso di quest’area strategica. Nel periodo della sua nascita e durante i
primi tre secoli della sua esistenza, le condizioni per la diffusione del cristianesimo nel mondo mediterraneo
furono più favorevoli di qualunque altro periodo dell’evo antico o medio.
In maniera negativa, attraverso il mondo greco e romano e in forma positiva, attraverso il giudaismo, il
mondo era preparato per la “pienezza dei tempi”, quando Iddio invio il Suo Figliuolo per portare la
redenzione ad un’umanità dilaniata dalla guerra e logorata dal peccato. E’ significativo il fatto che di tutte le
religioni praticate nell’impero romano al tempo della nascita di Cristo, solo il giudaismo o il cristianesimo
siano riusciti a sopravvivere nel mutevole corso della storia umana.SU QUESTA PIETRA
La roccia sulla quale si fonda la Chiesa di Cristo; attraverso Lui si riceve la fede in Dio per essere
salvati dal peccato, e da Lui raggiunge il cuore dell’uomo l’amore che ci spinge a considerare sacro
l’individuo in quanto Dio e creatore dell’essere fisico e spirituale dell’uomo e perché Egli è la base per la
speranza nel futuro.
I. STORICITÀ DI CRISTO
I valori del cristianesimo si realizzano da un punto di vista umano nella storia temporale. Essendo
questi valori inestricabilmente collegati alla persona, vita e morte di Cristo, bisogna esaminare le prove
dell’esistenza storica di Cristo. Molti hanno negato che Cristo si sia manifestato nella storia umana (Giov.
1:14), ma esistono fortunatamente prove storiche estranee alla Bibbia che ne confermano l’esistenza.
A. La testimonianza pagana
Il maggiore degli storici romani, Tacito, collega il nome e le origini dei cristiani a “Christus” che nel
regno di Tiberio a “soffrì la morte condannato dal procuratore Ponzio Pilato”.
Plinio, propretore della Bitinia e del Ponto, in Asia Minore, verso l’anno 112 scriveva all’imperatore
Traiano chiedendo istruzioni sulla maniera di trattare i cristiani. La sua epistola fornisce preziosi ragguagli
extra-biblici su Cristo. Egli rendeva grandi onori all’integrità morale dei cristiani scrivendo che i cristiani
non erano inclini a commettere furto o adulterio, a mancare alla parola, o a negare un deposito loro affidato.
Egli proseguiva dicendo che essi “cantano un inno a Cristo come a un Dio”.
Altro testimone, animato da spirito alquanto satirico, e per tal ragione prezioso, e Luciano, che
scrisse una satira sui cristiani e la loro fede verso il 170 d. C. Questi descriveva Cristo come colui “che era
stato crocifisso in Palestina” perché aveva dato inizio a “questo nuovo culto.” Egli scriveva che Cristo aveva
insegnato ai cristiani a credere che erano fratelli e che dovevano osservare le sue leggi, mettendoli in
ridicolo perché adoravano quel sofista crocifisso”.
Queste testimonianze costituiscono prove di alto valore storico per la loro provenienza da Romani
che disprezzavano i cristiani ed erano loro ostili. Sulla base di queste testimonianze, non tenendo conto
della Bibbia, che rimane tuttavia anche un’opera storica, si può concludere che esistono prove valide
sull’esistenza storica di Cristo.
B. La testimonianza ebraica
Anche Flavio Giuseppe, il facoltoso giudeo che cercò con i suoi scritti di presentare ai colti romani
un’apologia del giudaismo, parla di Cristo. Scrivendo intorno a Giacomo, egli lo indica come “il fratello di
Gesù, cosiddetto Cristo”.
In altro brano, spesso condannato come interpolato ad opera di cristiani, ma da molti ritenuto
autentico, l’autore diceva che Cristo era “un saggio” condannato a morire sulla croce da Pilato. Anche
ammettendo l’eventualità di qualche interpolazione dovuta a cristiani, la maggioranza degli studiosi
concordano nell’affermare che questa informazione di tanto valore e con grandissima probabilità parte del
testo originale. Giuseppe Flavio non era certamente un amico del cristianesimo e perciò le sue parole su
Cristo rivestono maggiore importanza storica.II. LA PERSONA DI CRISTO
La Bibbia ci fornisce qualche indicazione sulla personalità e sul carattere di Cristo, ed anche una
lettura casuale dei Vangeli lascia una profonda impressione della Sua originalità. Mentre le persone
autorevoli tra gli Ebrei e del tempo moderno si rifanno all’altrui autorevolezza a sostegno delle proprie
asserzioni, Cristo pronunziava semplicemente le parole: “Io vi dico”. Le affermazioni che seguivano all’uso
di questa espressione e di altre simili contenute nei Vangeli, mostravano la creatività ed originalità del
pensiero di Cristo, che meravigliavano la gente del suo tempo (Marco 1:22; Luca 4:32).
Nelle narrazioni bibliche risulta anche la sua sincerità: Egli era il solo essere che non avesse nulla da
nascondere e che potesse così essere completamente Se stesso, e dai Vangeli ricaviamo un’impressione di
equilibrio nel Suo carattere. Abitualmente si associano l’ardire a Pietro, l’amore a Giovanni, e la mitezza ad
Andrea. Ma in Cristo nessuno di questi aspetti e presente in modo eccessivo; anzi, le narrazioni ci rivelano
equilibrio ed unita di carattere. Questo equilibrio, originalità e trasparenza possono trovare un’adeguata
spiegazione solo nella narrazione storica della nascita verginale di Cristo.
III. L’ OPERA DI CRISTO
L’importanza trascendente della personalità di Cristo non deve mai essere dissociata dalla Sua
opera, che era attiva e passiva ad un tempo. Durante il Suo ministerio triennale, Cristo diede prova di una
giustizia rispondente ai requisiti richiesti dalla legge, che si aggiungeva alla Sua intrinseca giustizia come
Figliolo di Dio. Questa giustizia estrinseca, cui era pervenuto, lo qualificava a morire per gli uomini, i quali
non avrebbero mai potuto raggiungere una simile giustizia e che, per ottenere da Dio il perdono dei loro
peccati, avevano bisogno di un sostituto giusto. A questo lato attivo faceva riscontro l’opera passiva, la Sua
morte volontaria sulla croce (Filippini 2: 5-8). Queste due fasi storiche dell’opera di Cristo sono
compendiate nella Sua dichiarazione circa la Sua missione di servizio e sofferenza (Marco 10: 45).
A. Il ministerio di Cristo
Se si eccettuano le descrizioni della visita di Cristo a Gerusalemme con i Suoi genitori all’età di
dodici anni (Luca 2:41-50) ed alcuni accenni, sparsi qua e là, a Sua madre e ai Suoi fratelli, ben poco si sa
dei molti anni vissuti da Cristo a Nazareth.
Con molta probabilità ricevette la Sua istruzione biblica in casa e nella scuola della sinagoga e
poiché ogni fanciullo ebreo veniva addestrato in un mestiere, Egli aveva appreso quello del padre. La
posizione di Nazareth, su una delle principali vie di comunicazione, gli permetteva di osservare la vita del
mondo esterno che attraversava la Sua città. Le Sue parabole ed i Suoi sermoni mostravano che Egli era un
acuto osservatore della natura e che conosceva Iddio attraverso la rivelazione data per mezzo di questa oltre
che per mezzo del Vecchio Testamento. Questi anni furono per Lui anni di sviluppo fisico, sociale, mentale
e spirituale (Luca 2:52) in preparazione della grande opera che Lo attendeva.
Il Suo ministerio fu preceduto dal breve ministerio del Suo precursore, Giovanni Battista, e la Sua
prima apparizione e legata al battesimo amministratoGli da questi. Un attento studioso del ministerio di
Gesù noterà che, per tutta la durata del Suo ministerio, dopo tale avvenimento, Egli operò d’abitudine in
centri giudaici Questa condotta era in armonia con la Sua asserzione, secondo la quale Egli era venuto per le
“pecore perdute d’Israele” (Matteo 15:24).
Dopo la Sua tentazione nel deserto, Cristo procedette alla scelta di alcuni dei discepoli che, dopo la
Sua risurrezione ed ascensione, avrebbero dovuto continuare la Sua opera sotto la guida dello Spirito Santo.
Una visita a Cana segnò l’occasione del Suo primo miracolo, la trasformazione dell’acqua in vino. Segui
quindi una breve visita a Gerusalemme durante la quale Egli purificò il tempio ed ebbe lo storico colloquio
con Nicodemo che rivelò la natura spirituale del Suo ministerio (Giovanni 3:3, 5, 7). Ma l’episodio della
donna samaritana (Giovanni cap. 4), verificatosi durante il viaggio di ritorno in Galilea attraverso la
Samaria, fu la dimostrazione che il Suo ministerio non sarebbe stato limitato da barriere di nazioni o disesso, anche se la Sua missione era rivolta principalmente ai Giudei.
Respinto a Nazareth, Cristo fece di Capernaum il punto di partenza per il ministerio in Galilea che
costituì gran parte del Suo servizio terreno a pro degli uomini. Da qui Egli effettuo tre giri della Galilea. Il
primo, svoltosi principalmente nella Galilea orientale, fu contrassegnato dalla guarigione del paralitico,
dello zoppo e di molti altri oltre che dalla risurrezione del figlio della vedova di Nain e dal completamento
della scelta dei discepoli. Ai miracoli si accompagno la superba presentazione dei principii che secondo la
sua affermazione dovrebbero regolare la condotta umana e che sono esposti nel Sermone sul Monte, il cui
tema e che la vera religione e spirituale e non consiste solo di atti esteriori richiesti dalla legge.
Il punto saliente del secondo viaggio di Cristo, nella Galilea meridionale, fu costituito
dall’insegnamento da Lui dato in parabole circa il Suo regno (Matteo cap. 13), mentre gli altri miracoli
come la guarigione dell’indemoniato di Gadara e della figliuola di Iairo, furono testimonianza del Suo
potere di appoggiare le parole con gli atti.
Il terzo giro fu un proseguimento della Sua opera d’insegnamento, predicazione e guarigione.
I tre viaggi in Galilea furono seguiti da brevi periodi di ritiro durante i quali il principale obiettivo di
Cristo sembrò essere costituito dalla preparazione dei Suoi discepoli. Ciò nondimeno Egli trovò ancora
tempo di soddisfare ai bisogni di quelli che venivano da Lui, come dimostra la prima moltiplicazione dei
pani e dei pesci avvenuta al Suo primo ritiro. Egli diede ancora prove della Sua signoria sulla natura
camminando sul mar di Galilea, miracolo che convinse i Suoi discepoli della veridicità delle Sue
affermazioni di esser Figliolo di Dio, e mediante la guarigione, verificatasi nel corso del Suo secondo
periodo di ritiro, della figlia della donna sirofenicia che aveva dimostrata una notevole fede in Cristo. Il
terzo ritiro in solitudine fu una ulteriore rivelazione del Suo potere di operare guarigioni e di arrecare
benedizioni.
Al prolungato ministerio in Galilea segui un breve periodo trascorso a Gerusalemme per la festa dei
Tabernacoli, nel corso della quale Cristo affronto e combatte coraggiosamente la crescente opposizione dei
capi religiosi, farisei e sadducei. A motivo di questa, Egli si ritiro ad est del Giordano in Perea,
insegnandovi ed operando guarigioni.
Questo ministerio in Perea fu seguito dal breve ministerio della ultima settimana in Gerusalemme,
durante il quale combatté pubblicamente la crescente inimicizia contro di Lui dei capi politici ed
ecclesiastici ebrei. Nel Suo insegnamento in parabole Egli li rimprovero per il loro concetto meccanico ed
esteriore della religione. I tristi giorni finali precedenti alla crocifissione, posero fine al Suo ministerio
attivo a favore del mondo. Successivamente alla Propria gloriosa risurrezione, fatto storico provato sulla
base documentaria fornitaci dal Nuovo Testamento, Egli apparve solo ai Suoi seguaci. Suo ministerio
culminò infine nella Sua ascensione al cielo avvenuta in presenza dei Suoi discepoli, preceduta dalle Sue
promesse di inviare lo Spirito Santo in vece Sua e di ritornare nuovamente su questa terra.
La Chiesa cristiana ha la fortuna di possedere quattro narrazioni del ministerio svolto da Cristo sulla
terra. Ciascun autore presenta la sua narrazione da un diverso punto di vista. Matteo sottolinea il lato regale
di Cristo, il Messia promesso che ha adempiute le promesse dell’Antico Testamento, e lo fa servendosi
costantemente delle parole “affinché si adempisse quanto era stato detto dai profeti”. Marco, che faceva
appello alla mentalità pratica dei Romani, metteva in rilievo il lato pragmatistico del ministerio di Cristo. Il
senso dell’azione e della potenza e accennato dall’uso costante della parola greca “euthus” variamente
tradotta con ” subito” o “in quell’istante” etc. Luca, lo storico, (Luca 1 :1-4) ci presenta il lato umano del
ministerio di Cristo. Giovanni presenta Cristo come il Figliuolo di Dio con il potere di arrecare benedizioni
a quelli che Lo accettano per fede (Giovanni 1:12; 20:30, 31).B. La Missione di Cristo
La fase attiva del ministerio di Cristo, che si estese per un periodo di tre anni, era soltanto di
preparazione alla fase passiva della Sua opera, la Sua morte sulla croce, il grande avvenimento
preannunziato dai profeti (Isaia cap. 53) che avrebbe determinato la sconfitta finale di tutte le forze del male
e concesso a quelli che Lo accettano tutta la potenza spirituale frutto della Sua opera sulla croce (Efesini
1:19-23; 3:20). Era questo l’importante scopo temporale ed eterno, per il quale era venuto sulla terra. I
Vangeli danno particolare risalto a questo fatto e raggiungono il culmine in passi quali Matteo 16:21; Marco
8:31 e Luca 9:44.
C: Il messaggio di Cristo
Benché la missione principale di Cristo sulla terra si sia compiuta sulla croce, il Suo messaggio non
si accentrò su di essa, ne essa fu considerata come fine a se stessa. Studiando attentamente i Vangeli si
riscontrerà che il messaggio principale dell’insegnamento di Cristo era il regno. Egli usava due espressioni:
“Il regno di Dio” e “il regno dei cieli”. Quest’ultima in particolare si rinviene soprattutto in Matteo. Il
,significato di questi termini ha portato a una grande controversia nel seno della Chiesa.
Secondo le due più importanti interpretazioni date a queste formule, si intende per regno di Dio il Suo
imperio su tutti gli esseri dell’universo che Gli offrono volontaria fedeltà. In questo regno spirituale che
comprende tempo ed eternità, entrano gli esseri umani in seguito ad una rinascita spirituale (Giovanni 3:3,
5, 7; Matteo 6:33). Non si fa mai alcuna allusione all’esistenza del diavolo in questo regno nel quale Cristo
stesso sarà sottoposto al Padre (I Corinzi 15:24-28). Ambedue i gruppi cui risalgono queste interpretazioni
credono che al momento presente questo regno sia di natura etica e spirituale, e collegato alla Chiesa. Per
tutti e due la sua realizzazione escatologica e tuttavia ancora da venire.
La discussione sulle parole “regno dei cieli” porta ad una divisione di pareri. Per alcuni le due
espressioni sono sinonime, mentre altri ritengono che esse si riferiscano a due regni separati benché in una
certa misura combacianti. La ragione principale per la distinzione operata tra le due sorge dall’uso e
dall’interpretazione dati da Cristo alle parabole delle zizzanie e della rete nel descrivere il regno di Dio.
Considerato che queste due parabole presuppongono nel regno dei cieli la coesistenza di uomini buoni e
cattivi e che tutti i riferimenti al regno di Dio parlano solo di coloro volontariamente sottoposti alla volontà
di Dio, per molti i impone una divisione tra i due termini che non possono quindi essere usati come
sinonimi.
Coloro che propendono per la sinonimia dei due termini e che li identificano con la Chiesa pensano
che alla realizzazione del regno si perverrà attraverso un processo evolutivo storico nel quale la Chiesa
compirà l’opera di preparazione per un regno che Cristo riceverà al Suo ritorno. L’azione sociale per la
creazione di un ambiente migliore per l’uomo e una parte importante del loro piano; il cristianesimo viene
cosi spesso interpretato in termini etici a spese dell’opera espiatrice compiuta sulla croce. La base da cui
sono partiti i liberali per sviluppare tale teoria, e stata l’identificarsi, sostenuto da Agostino, di questo
termine coll’età della Chiesa.
Altri, che pur non sottoscrivendo la suddetta interpretazione, ritengono tuttavia sinonimi i due termini,
credono che la realizzazione finale del regno sia futura e che avverrà in maniera sovrannaturale e
cataclismica al ritorno di Cristo, e non accettano la concezione evolutiva del gruppo predetto. Costoro, che
sono comunemente noti come amillenaristi, non condividono l’idea di un regno milleniale di Cristo.
I premillenaristi, per i quali i due termini sono identici, ritengono che il regno dei cieli sia legato al
governo di Cristo su questa terra, ed identificano il regno di Dio con il governo eterno di Dio Padre. Nel
periodo attuale della Chiesa, il regno dei cieli equivarrebbe alla cristianità; nella quale sono mescolati
cristiani, cristiani professanti, increduli ed ebrei. Al ritorno di Cristo il regno dei cieli sarà purgato dei
Giudei e Gentili increduli e sarà governato per mille anni da Cristo e dalla Sua chiesa. Sara questo il regno
annunziato dai profeti nel quale Israele doveva essere benedetto in Palestina. Dopo una breve ribellione
capeggiata da Satana e successiva alla sua liberazione dalla cattività del millennio, Cristo rimetterà a Dio la
Propria autorità e la parte pura del regno dei cieli si fonderà col regno di Dio.LA CONCEZIONE PREMILLENIALE DEL REGNO DI DIO
Che si creda nella sinonimia o nella non identicità, non è argomento tanto importante, quanto il
parere concorde degli Evangeli su certi punti intorno ai quali non vi può essere disaccordo allorquando si
segua un corretto criterio di interpretazione delle Scritture. Cristo non ha mai affermato che il regno si
realizzerà per mezzo di un processo storico evolutivo nel quale la Chiesa, attraverso l’azione sociale,
prepara il mondo per la Sua venuta. Le Scritture insegnano chiaramente che la futura fase escatologica del
regno, distinta dalla presente fase etica e spirituale, si realizzerà in maniera sovrannaturale e apocalittica
alla venuta di Cristo, e non in forma progressiva quale risultato della opera della Chiesa.
Ne deriva cosi che il compito principale di questa non è la conversione del mondo per mezzo della
predicazione e dell’azione sociale, ma la proclamazione dell’Evangelo affinché quelli che devono formare la
vera Chiesa abbiano la possibilità di rispondere a quel messaggio per il senso di colpa destato nel loro cuore
dallo Spirito Santo. Tale è il compito specifico della Chiesa in questo periodo della storia umana, ma, ciò
non preclude al cristiano, che è anche cittadino dello stato, la possibilità di un’applicazione pratica
quotidiana del cristianesimo nella società.
D. I miracoli di Cristo
I miracoli di Cristo furono numerosi e costituirono una parte importante del Suo ministerio. Essi
dovevano rivelare la gloria di Dio e mostrare che Cristo era il Figliuolo di Dio (Giovanni 3:2), perché
nascesse negli uomini la fede in Lui. Ad essi vengono dati vari nomi: potenza, opere, prodigi, segni.
Razionalisti ed empiristi ne hanno negato la possibilità ed hanno cercato di spiegarli con le leggi della
natura o definendoli miti, posizione quest’ultima, che comporta necessariamente la negazione della
veridicità storica della narrazione.
I miracoli possono essere definiti fenomeni, non spiegabili con le leggi naturali conosciute, operati
per speciale intervento della divinità proponenti fini morali; la possibilità del loro verificarsi e dimostrata
dall’esistenza di documenti storici che ce li descrivono come fatti storici. I miracoli operati da Cristo
servirono ad autenticarne, agli occhi idi molti increduli del Suo tempo, la persona e l’opera.
E. Il valore della persona di Cristo
Molte sono state le opinioni umane intorno a Cristo, questa sorprendente persona che ci viene tanto
egregiamente tratteggiata nei Vangeli. Nei maggiori periodi di controversia teologica, tra il 325-451 ed il
1517-1648, gli uomini cercarono di stabilire una esatta interpretazione del Cristo soprattutto mediante la
formulazione di credi.
I mistici Lo hanno considerato il Cristo della immediata esperienza personale. Altri, alla fine del
diciottesimo ed inizio del diciannovesimo secolo; ne hanno parlato come del Cristo della storia e cercato di
negare il sovrannaturale, si da poterLo considerare soltanto un uomo straordinario. Ma per il vero cristiano
Egli è sempre stato il Cristo di Dio.
Il significato storico di Cristo consiste nella nascita di un valore nuovo attribuito alla personalità
umana. I Greci insistevano sulla dignità della personalità umana per la natura razionale dell’uomo, ma la
Chiesa ha sempre insistito sulla dignità di essa, in quanto l’uomo è in potenza o in atto figliuolo di Dio
attraverso la fede in Gesù Cristo. La concezione cristiana ha portato alla umanizzazione della vita. Barriere
di classe e di razza sono cadute nella Chiesa e la riforma sociale ha determinato migliori condizioni di vita
per tutti gli uomini. Gli evangelici furono alla guida delle riforme sociali del diciannovesimo secolo in
Inghilterra. Ma ciò che e al di sopra di tutto, e che l’importanza attribuita ad un codice etico interiore anziché
a regole esteriori e il risultato del contatto della personalità umana con il Cristo del Calvario.
La persona, l’opera, gli insegnamenti di Cristo e, sopra ogni cosa, la Sua morte e
resurrezione segnano l’inizio del cristianesimo. Molte religioni potrebbero esistere anche senza i lorofondatori, ma il togliere Cristo al cristianesimo lascerebbe un guscio vuoto e senza vita. Cristo ha dato alla
Sua Chiesa i suoi due ordinamenti, gli apostoli, il suo messaggio fondamentale del Regno di Dio, la sua
disciplina (Matteo 16:1619; 18:15-20) e lo Spirito Santo che opera attraverso la Chiesa per
l’evangelizzazione del mondo.
Egli non lasciò nessuna organizzazione di base, ne alcun sistema ben definito di dottrina. Questi
avrebbero dovuto essere elaborati dagli apostoli, tra cui Paolo, sotto la guida dello Spirito Santo inviato da
Cristo sulla terra per ministrare in Sua assenza. La vera Chiesa avente per fondamento Cristo e per
fondatore lo Spirito Santo, avrebbe avanzato trionfalmente esaltando il Suo crocifisso, risorto ed asceso
Signore, dal giorno della Pentecoste fino ad oggi.
AL GIUDEO PRIMA
L’uso del tempo futuro seguito in Matteo 16:18 nelle parole: “Su questa pietra edificherò la mia
Chiesa” ci mostra in maniera evidente che Cristo è il fondamento piuttosto che il fondatore della Chiesa.
Luca afferma di averci informati nel suo Vangelo “di tutto quel che Gesù prese a fare e ad insegnare” (Atti
1: 1), e nel libro degli Atti presenta il resoconto della fondazione della Chiesa cristiana e degli inizi della sua
espansione per opera degli apostoli sotto la guida dello Spirito Santo.
Neppure i discepoli avevano compreso la natura spirituale della missione di Cristo; volevano infatti
sapere se dopo la Sua risurrezione, Egli avrebbe restaurato il regno messianico (Atti 1: 6). Cristo disse loro
invece che, dopo aver ricevuto la pienezza della potenza dello Spirito Santo, il loro compito sarebbe stato di
testimoniare di Lui “in Gerusalemme e in tutta la Giudea e in Samaria e fino alle estremità della terra” (Atti
1:8).
È da notare che Cristo diede la precedenza alla proclamazione agli Ebrei; anche uno studio
superficiale degli Atti rivelerà che tale e l’ordine seguito dalla Chiesa primitiva: l’Evangelo venne
proclamato dapprima in Gerusalemme da Pietro, il giorno della Pentecoste e venne quindi portato dai
cristiani ebrei ad altre città di Giudea e Samaria.
Perciò la Chiesa primitiva era prima di tutto giudaica ed esisteva nel seno del giudaismo; e lo
sviluppo del cristianesimo nel seno del giudaismo e il suo giungere fino ad Antiochia vengono descritti da
Luca nei primi dodici capitoli del libro degli Atti.
I. FONDAZIONE DELLA CHIESA DI GERUSALEMME
Può sembrare paradossale, ma quello che era stato il centro di maggiore ostilità a Cristo divenne la
città dove la religione cristiana si presento al mondo per la prima volta e, dall’anno 30 al 44 circa, la Chiesa
di Gerusalemme occupò una posizione di predominio nella primitiva comunità cristiana.
Lo Spirito Santo ebbe una posizione preminente nella fondazione della Chiesa, secondo le promesse
fatte da Cristo, poche settimane prima della sua morte, di inviare un altro “consolatore” che avrebbe assunto
la guida della Chiesa dopo la Sua ascensione. Studiando attentamente il testo di Giovanni 14:16-18, 15:26,
27 e 16:7-15 appariranno chiari i compiti dello Spirito Santo nella Chiesa primitiva Infatti i punti principali
su cui si sofferma il libro degli Atti sono la risurrezione di Cristo, argomento della predicazione apostolica,
lo Spirito Santo che, dal giorno della Pentecoste, doveva essere potenza e guida della comunità cristiana.
LO Spirito Santo divenne l’agente di cui si servi la Trinità per l’opera di redenzione umana.
Al momento della fondazione della Chiesa erano presenti a Gerusalemme, per osservare la festa
della Pentecoste, Giudei ivi convenuti da tutte le parti del mondo mediterraneo (Atti 2:5-11). Cosi la
manifestazione sovrannaturale di potenza divina delle lingue e della discesa dello Spirito Santo, verificatasi
alla nascita della Chiesa, recò ai Giudei intervenuti l’annunzio delle meravigliose opere di Dio, a ciascuno
nella propria lingua (Atti 2:11). Di essa Pietro profittò per il primo e probabilmente il più fruttuoso sermoneche sia mai stato predicato, la dichiarazione della messianicità di Cristo e della Sua grazia redentrice.
Almeno tremila persone accettarono la parola da lui annunziata e furono battezzati (Atti 2:41). In tal
maniera prese vita l’entità o organismo fondamentale del cristianesimo, la Chiesa invisibile, corpo del
Cristo resuscitato.
L’espansione fu rapida. Altri si aggiunsero quotidianamente al novero dei tremila originari finché si
giunse ben presto ai cinquemila (Atti 4:4), e in seguito si parla di moltitudini che entrano a far parte della
Chiesa (Atti 5:14). E’ interessante sapere che molti di questi erano Ellenisti (Atti 6:1) della dispersione, che
erano in Gerusalemme per celebrare le grandi festività legate alla Pasqua ed alla Pentecoste. Nemmeno i
sacerdoti furono immuni dal contagio di questa nuova fede e tra i membri della chiesa primitiva a
Gerusalemme vengono citati anche ” una gran quantità di sacerdoti” (Atti 6:7). Alcuni di essi avevano forse
visto lacerarsi il grande velo del tempio che aveva accompagnato la morte di Cristo, e questo, unitamente
alla predicazione degli apostoli, li aveva convinti alla fede in Cristo.
Tale rapido sviluppo non avvenne, pero, senza molta opposizione da parte dei Giudei. Le autorità
religiose, che si erano rese prontamente conto che il cristianesimo rappresentava una minaccia alle loro
prerogative di interpreti e sacerdoti della legge, unirono le loro forze per combattere il cristianesimo. La
prima persecuzione venne dal Sinedrio, un organismo politico-religioso che, con il beneplacito dei Romani
controllava la vita civile e religiosa dello stato. Pietro e Giovanni vennero trascinati almeno due volte
dinanzi a tale augusto consesso e venne loro interdetto di predicare l’Evangelo, proibizione cui essi non
obbedirono. In seguito la persecuzione assunse carattere eminentemente politico; fu in questo periodo che
Erode fece uccidere Giacomo ed imprigionare Pietro (Atti cap. 12).
Questa iniziale persecuzione diede al cristianesimo il suo primo martire, Stefano, uno dei più in
vista tra i sette scelti per amministrare le opere di carità della Chiesa di Gerusalemme. Falsi testimoni, che
non erano in grado di contraddire allo spirito ed alla logica con i quali parlava, lo trascinarono davanti al
Sinedrio perché si discolpasse del reato imputatogli. Ma a conclusione di un infuocato discorso con il quale
egli accusava i capi giudei di aver respinto Cristo, la plebaglia inferocita lo trasse fuori del Sinedrio,
all’aperto, e quivi lo lapidò.
Il primo martirio nella storia della Chiesa costituì un prezioso fattore nella diffusione e sviluppo del
cristianesimo. Saulo, che sarebbe in seguito divenuto l’apostolo Paolo, faceva la guardia ai mantelli di
coloro che lapidavano Stefano, ed e quasi indubbio che il coraggio e lo spirito di perdono dimostrati da
Stefano in occasione della sua morte crudele, colpirono profondamente il cuore di Paolo. Le parole
rivoltegli da Cristo: “Ti è duro di ricalcitrar contro agli stimoli” (Atti 9:5) sembrerebbero esserne una
conferma. La persecuzione che ne segui fu aspra e la dispersione della Chiesa nascente fu il mezzo di
diffusione del messaggio in altre parti del paese (Atti 8:4).
Non tutti i convertiti al cristianesimo avevano pero un cuore intero. L’inganno perpetrato da Anania
e Saffira costituì la prima causa, nella chiesa di Gerusalemme, di una azione disciplinare, immediata e
terribile, che venne esercitata attraverso gli apostoli che erano i capi di questa giovane organizzazione.
Il racconto della punizione toccata a questa coppia colpevole solleva la questione relativa
all’esistenza nella Chiesa primitiva della pratica del comunismo. Qualche comunista ha tentato con vigore
di dimostrare allo scrivente che i cristiani primitivi praticavano il comunismo. Passi come Atti 2:44, 45 e
4:32 sembrano fare stravedere la pratica di un socialismo utopistico basato sulla massima prediletta dai
socialisti. “Da ciascuno secondo la sua capacita, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Va, pero, notato che questa era soltanto una misura temporanea intesa probabilmente a far fronte ai
bisogni dei molti credenti provenienti da altri luoghi e desiderosi di istruzione nella nuova fede, prima del
loro ritorno alle proprie case. Riveste somma importanza il fatto che ciò fosse volontario. Pietro afferma
(Atti 5:3, 4) che Anania e Saffira erano liberi di conservare il possesso delle loro proprietà o di venderle. La
comunanza dei beni era puramente volontaria e non si può usare la Bibbia a giustificazione del comunismo
ai giorni nostri.Il cristianesimo primitivo promosse tuttavia grandi mutamenti sociali in alcuni campi. La Chiesa di
Gerusalemme insisteva sulla uguaglianza spirituale dei due sessi e attribuiva grande importanza alle donne
nella Chiesa. La funzione importante rivestita da Tabita nel promuovere le opere di carità viene riportata da
Luca (Atti 9: 36).
Altro notevole fenomeno sociale verificatosi agli albori della vita della Chiesa fu la creazione di un
gruppo di uomini col compito di prendersi cura dei bisognosi. La necessita, causata dal rapido sviluppo, e
probabilmente l’imitazione delle pratiche della sinagoga ebraica, condusse alla moltiplicazione degli
incarichi e degli uffici già agli inizi della storia della Chiesa. Al numero dei ministri si aggiunsero gli
anziani, cosicché infine apostoli, anziani e diaconi si dividevano la responsabilità della guida nella chiesa di
Gerusalemme.
La natura della predicazione dei conduttori della primitiva chiesa di Gerusalemme spicca nel
racconto della nascita del cristianesimo. Nel sermone di Pietro (Atti 2:1436), il primo ad opera di un
apostolo, notiamo che egli si richiamava ai profeti del Vecchio Testamento che predissero un sofferente
Messia, sostenendo quindi l’idea che tale Messia fosse Cristo perché Dio L’aveva risuscitato dai morti. Di
conseguenza Egli era in grado di recare la salvezza a quelli che volevano accettarLo per fede. Le tesi
principali dei primi sermoni degli apostoli sono compendiate nel testo di Atti 17: 2, 3. La necessita della
morte di Cristo per il peccato era stata preannunciata dai profeti e la risurrezione di Cristo era prova che Egli
era il Messia che poteva salvare gli uomini.
La stessa tecnica era seguita anche da Paolo (I Corinzi 15: 3, 4). La loro predicazione, ai Giudei
prima, ed ai Gentili in seguito, consisteva nella predicazione del Cristo crocifisso e risorto, e bene farebbe la
Chiesa di oggi a studiare il messaggio della Chiesa primitiva.
La chiesa di Gerusalemme, di cui abbiamo appena descritta brevemente la storia, perse presto la sua
funzione di guida del cristianesimo, cedendola ad altre. La decisione poi del Concilio di Gerusalemme di
non chiedere ai gentili la osservanza della legge apri la strada all’emancipazione spirituale delle chiese dei
Gentili dal controllo giudaico. L’assedio di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 d. C. costrinse i membri di
quella Chiesa a fuggire a Pella, al di là del Giordano. Dopo la distruzione del tempio e la fuga della Chiesa,
la città non venne più considerata centro del cristianesimo e la funzione di guida spirituale della Chiesa
passò ad altre città, come ad esempio Antiochia, eliminando cosi il possibile pericolo che il cristianesimo
non potesse mai abbandonare le fasce del giudaismo.
II. LA CHIESA IN PALESTINA
Fino al settimo capitolo del libro degli Atti l’interesse del lettore della storia della Chiesa è tenuto
desto dalle vicende della chiesa di Gerusalemme. Nei capitoli da otto a dodici, questo centro d’interesse si
allarga a comprendere la Giudea e la Samaria: il cristianesimo veniva portato a genti di altre razze.
Il viaggio di Filippo in Samaria (Atti 8:5-25) recò l’Evangelo ad un popolo che non era di
puro sangue ebreo. I Samaritani erano i discendenti degli appartenenti alle dieci tribù non deportati dagli
Assiri dopo la caduta di Samaria e dei coloni, provenienti da altre regioni del loro impero, stabilitivi da quei
conquistatori nel 725 a. C.. Da quel momento un’aspra inimicizia si era stabilita tra Giudei e Samaritani.
Ora a Pietro e Giovanni veniva chiesto di andare in Samaria ad aiutare Filippo per il continuo
ingrandirsi dell’opera che gli rendeva impossibile far fronte a tutti i bisogni. Questo risveglio fu la prima
breccia nella barriera razziale che si frapponeva alla diffusione dell’Evangelo. Sarà poi ancora lo stesso
Filippo, guidato dallo Spirito Santo, a completamento della sua opera in Samaria, a predicare l’Evangelo ad
un alto dignitario etiope.
Pietro, il primo a predicare l’Evangelo ai Giudei, fu anche il primo a recare ufficialmente l’Evangelo
ai Gentili.Dopo una visione che gli indico chiaramente che anche i Gentili avevano diritto all’Evangelo,
recatosi in casa di un centurione romano di nome Cornelio, fu stupito nel vedervi verificarsi le stesse
manifestazioni avvenute il giorno della Pentecoste (Atti capp. 10 e 11), e da quel momento in poi acconsentì
che i Gentili ascoltassero la parola della grazia. L’Etiope e Cornelio furono i primi Gentili che ebbero il
privilegio di ricevere il messaggio della grazia salvatrice di Cristo.
Benché quelli che erano stati costretti ad abbandonare Gerusalemme predicassero dapprima solo ai
Giudei (Atti 11: 20) dopo poco tempo una nuova chiesa composta di gentili sorgeva ad Antiochia, dove il
nome di cristiani, dato in segno di ridicolo dagli arguti Antiocheni ai seguaci di Cristo, fu e divenne il nome
onorato di questi ultimi.
Ad Antiochia Paolo iniziò il suo attivo ministerio pubblico tra i Gentili e di qui egli partì per i viaggi
missionari che l’avrebbero portato alla sua meta, la città di Roma. E quando dinanzi alle chiese dei Giudei,
si presentò lo spettro della carestia, la grande chiesa di Antiochia fu in grado di venire in loro soccorso.
Ma il compito di recare l’Evangelo ai Gentili ” fino alle estremità della terra ” non era terminato.
Quel compito iniziato da Paolo, continua ad essere la missione incompiuta della Chiesa di Cristo.LA PIENEZZA DEI TEMPI
In Galati 4:4 Paolo richiama l’attenzione sull’era storica di provvidenziale preparazione che
precedette la venuta del Cristo sulla terra in forma umana: “Quando giunse la pienezza dei tempi, Iddio
mandò il suo Figliuolo…” ed anche Marco (1:15) mette in rilievo che la venuta del Cristo ebbe luogo
quando tutto fu pronto sulla terra. L’esame attento degli avvenimenti che precedettero l’apparizione del
Cristo sulla terra porta il serio studioso di storia a riconoscere la verità delle affermazioni fatte da Paolo e
Marco.
Si e dimenticato, nella maggioranza delle discussioni su tale argomento, che alla preparazione, sotto
il profilo religioso, della venuta di Cristo non contribuirono solo i Giudei.
L’apporto di questi ultimi, benché invero negativo, fu tuttavia di grande aiuto nel creare il
movimento storico nel quale il Cristo poteva fare sentire meglio il suo peso, in una maniera non possibile
prima o al momento della sua nascita. Questa preparazione verrà messa in luce qualora venga esaminato il
contributo politico, intellettuale e religioso recato dai grandi popoli del primo secolo precedente l’era
cristiana.
I. APPORTI POLITICI
Il maggiore contributo politico alla storia che precede la venuta di Cristo venne dato dai Romani.
Questo popolo, che seguiva le vie dell’idolatria, fu usato da Dio per l’adempimento della Sua volontà che
esso ignorava.
A. Senso di imita del genere umano.
Come nessun altro popolo aveva fatto fino a quel tempo, i Romani avevano dato vita ad un senso
dell’unità del genere umano sotto una legge universale. Questo senso di solidarietà dell’uomo nel seno
dell’Impero creo un ambiente favorevole a ricevere un Evangelo che proclamava l’unita della razza umana
accomunata dalla punizione per il peccato, sotto cui si trovano tutti gli uomini, e dal fatto che a tutti veniva
offerta una salvezza che li rendeva parte di un organismo universale, la Chiesa cristiana, corpo di Cristo.
Nessun impero dell’antico Vicino Oriente, nemmeno l’impero di Alessandro Magno, era riuscito a
dare agli uomini un senso della loro unità in una organizzazione politica. II raggiungimento della unità
politica sarebbe stato compito particolare di Roma. L’applicazione della legge romana per tutti i cittadini in
qualunque parte dell’impero, veniva fatta quotidianamente sentire, ai Romani ed ai sudditi dell’Impero,
dall’imparzialità dei tribunali. Questo sistema era frutto della legge consuetudinaria della prima monarchia
e venne poi codificato nel V sec. a. C., agli inizi della repubblica, nelle Dodici Tavole, divenute parte
essenziale dell’educazione di ogni fanciullo romano. Con la conoscenza che il pretore peregrinus, il
magistrato incaricato di trattare i casi giudiziari nei quali erano coinvolti stranieri, acquistava dei loro
sistemi giuridici, si accrebbe nei Romani la coscienza che i grandi principi del diritto romano erano presenti
anche nella legislazione delle altre nazioni.
Cosi il codice delle Dodici Tavole, basato sulla consuetudine, si arricchì delle leggi di altre nazioni.
Seguendo la propria inclinazione filosofica i Romani spiegarono queste similarità prendendo a prestito il
concetto greco di una legge universale i cui principi erano scritti nella natura dell’uomo e che potevano
venire scoperti tramite processi razionali.
Un ulteriore passo in avanti nel promuovere l’idea di unità fu la concessione della cittadinanza
romana ai non Romani. Questo processo, iniziato nel periodo precedente la nascita di Cristo, fu completato
nel 212 da Caracalla con la concessione a tutti gli uomini liberi dell’impero romano del diritto di
cittadinanza. Poiché l’Impero comprendeva tutto il mondo che, nella storia di quell’epoca, era quello intorno
al bacino del Mediterraneo, tutti gli uomini erano praticamente sotto un unico sistema giuridico e cittadini
di un solo stato.La legge romana, con l’ importanza da essa annessa alla dignità dell’individuo e al diritto alla
giustizia ed alla cittadinanza romana, e con la sua tendenza ad amalgamare uomini di differenti razze in una
sola organizzazione politica, anticipava un Evangelo che proclamava l’unità del genere umano nella
presentazione della punizione per il peccato e di un Salvatore da questo. Paolo rammentava ai cristiani della
Chiesa di Filippi che erano membri di una nazione celeste (Filippesi 3:20).
B: La pace
La libertà di movimento nel mondo mediterraneo dei messaggeri dell’Evangelo sarebbe stata molto
difficile prima del regno di Cesare Augusto (27 a. C. – 14 d. C.) perché la divisione del mondo antico in
piccole unita gelose, città-stato o tribù, impediva i viaggi ed il diffondersi delle idee.
L’estendersi del potere imperiale romano, durante il periodo di formazione dell’Impero, nei
paesi intorno al Mediterraneo diede luogo a un periodo di pacifico sviluppo. Pompeo aveva
spazzato i pirati dal Mediterraneo e i soldati romani mantenevano la pace sulle strade di Asia, Africa ed
Europa. Questo mondo relativamente pacifico rendeva facili ai primi cristiani gli spostamenti da un
luogo all’altro che consentivano loro di predicare l’Evangelo a tutti in ogni dove.
C. Le strade romane
I romani costruirono un eccellente rete di strade che irradiandosi dalla pietra miliare del Foro
Romano giungeva a tutte le parti dell’Impero. Le strade principali erano costruite di calcestruzzo perché
servissero per secoli. Esse traversavano monti e valli fino alle estremità dell’Impero ed alcune di esse sono
in uso ancora oggi. Uno studio dei viaggi di Paolo lascerà l’impressione che egli facesse largo uso della
eccellente rete stradale per muoversi da un centro strategico dell’Impero all’altro. Se Traiano, il grande
artefice dell’Impero, aveva una visione dell’imperialismo romano, Paolo, artefice dell’impero di Cristo, la
Chiesa, aveva una visione dell’imperialismo cristiano che abbracciasse non solo l’impero romano ma il
mondo intero. Le strade romane e le città strategiche ubicate lungo il loro tracciato furono un aiuto
indispensabile nella realizzazione di questa visione.
D. L’esercito romano
La parte avuta dall’esercito romano nello sviluppo di una organizzazione ideale ed universale non
dovrebbe essere ignorata. Con lo scemare del numero dei cittadini romani, dovuto alla guerra ed agli agi, i
romani presero l’abitudine di arruolare provinciali nell’esercito. Costoro, messi a contatto colla civiltà
romana contribuirono a diffonderne le idee in tutto il mondo antico. Inoltre, alcuni di questi uomini si
convertirono al cristianesimo, diffondendo poi l’Evangelo nelle regioni a cui venivano assegnati per il
servizio militare.
La primissima diffusione del cristianesimo in Gran Bretagna potrebbe cosi essere il risultato degli
sforzi di soldati di stanza in quel paese.
L’esame dei fattori fin qui discussi porta alla conclusione che nei giorni della infanzia del
cristianesimo, l’impero romano fornisse a questo un ambiente politico tale da favorirne la diffusione. Ne la
Chiesa del Medioevo fu mai in condizione di liberarsi della gloria di Roma imperiale, ed anzi cercò di
perpetuarne gli ideali in un sistema ecclesiastico.
II. APPORTI INTELLETTUALI
Per quanto grande fosse il contributo di preparazione alla venuta del cristianesimo di cui fu artefice
Roma, esso vede diminuire la propria importanza al confronto di quella fornita dall’ambiente intellettuale,
frutto della mente greca. Alla creazione dell’ambiente politico in cui nacque il cristianesimo
viene associata la città di Roma, ma alla creazione dell’ambiente intellettuale che tanto contribuì allapropagazione dell’Evangelo concorse Atene. Benché i Romani fossero politicamente vincitori sui Greci,
questi ultimi, come afferma Orazio, vinsero sul piano culturale i Romani. Il pratico Romano costruiva
buone strade, ponti imponenti e begli edifici pubblici, ma il Greco elevava sublimi edifici intellettuali. Sotto
l’influenza greca, alla semplice cultura agreste degli inizi della repubblica subentrò l’intellettualismo
dell’Impero.
A. La lingua universale
Per poter avere la massima forza d’urto, l’Evangelo universale aveva bisogno di una lingua
universale. Sin dai tempi della torre di Babele gli uomini hanno cercato di creare una lingua universale per
poter liberamente scambiarsi le loro idee. Come l’inglese nel mondo moderno ed il latino nel mondo erudito
del Medioevo, cosi il greco era divenuta la lingua universale del mondo antico all’epoca della comparsa
dell’Impero Romano. La maggioranza dei romani colti conoscevano sia il latino che il greco.
Di grande interesse e il processo per mezzo del quale il greco divenne lingua volgare d’importanza
mondiale. Il dialetto attico usato dagli ateniesi ebbe vasta diffusione nel V sec. a. C. con l’accrescersi
dell’impero ateniese. Nonostante la distruzione di questo impero, avvenuta alla fine del V secolo, il dialetto
di Atene, che era quello della letteratura greca classica, divenne la lingua che, tra il 338 e il 146 a. C.,
modificata ed arricchita da Alessandro Magno, dai suoi soldati e dai mercanti del mondo ellenistico, si
diffuse in tutto il mondo mediterraneo.
Questo dialetto parlato dal popolo, conosciuto col nome di Koinè e differenziatosi dal greco
classico, permise ai cristiani di stabilire contatti con i popoli del mondo antico e di scrivere in esso il Nuovo
Testamento, ed agli Ebrei di Alessandria di avere una versione del Vecchio Testamento detta dei Settanta.
Fino a data recente, a causa della differenza tra esso ed il greco dei classici, si ignorava che il greco del
Nuovo Testamento fosse il greco parlato comunemente ai giorni di Cristo. Un teologo tedesco giunse
persino ad affermare che la lingua neotestamentaria era una forma speciale di greco ispirata dallo Spirito
Santo per la stesura del libro sacro. La scoperta che il greco del Nuovo Testamento era quello usato
dall’uomo comune del primo secolo negli atti relativi ai suoi affari, scritti su papiri, e nei documenti
essenziali alla sua vita quotidiana, venne fatta da Adolf Deissman, verso la fine del secolo scorso. Da allora,
studiosi come il Moulton ed il Milligan hanno dato alla scoperta del Deissman una sana base scientifica per
mezzo dello studio comparato del vocabolario dei papiri e di quello del Nuovo Testamento. Questa scoperta
ha favorito la pubblicazione di numerose traduzioni in lingua moderna. Se ai suoi inizi l’Evangelo era scritto
nella lingua dell’uomo comune, sostengono i traduttori, esso dovrebbe esser tradotto nella lingua dell’uomo
del nostro tempo.
B. La cultura greca
La filosofia greca può essere considerata un elemento di preparazione alla venuta del cristianesimo.
Chiunque venisse a conoscenza dei suoi princìpi, fosse Greco o Romano, scopriva presto che questa
disciplina intellettuale rendeva la sua religione politeistica razionalmente tanto priva di senso da spingerlo
ad allontanarsene per volgersi alla filosofia che, pure, non riusciva a soddisfare i suoi bisogni spirituali, e
questo ne faceva cosi uno scettico o lo spingeva a cercare conforto nelle religioni misteriche esistenti
nell’impero romano.
All’epoca dell’avvento di Cristo, la filosofia era decaduta dalle vette raggiunte da Platone, fino a
divenire sistema di egoistico pensiero individualistico, come lo stoicismo e l’epicureismo. Essa poi poteva
effettuare una ricerca di Dio e presumerne l’esistenza come astrazione intellettuale, ma non poteva mai
rivelare un Dio personale di amore. L’incapacità della filosofia di adempiere a tale compito, all’epoca della
venuta di Cristo, disponeva la mente dell’uomo ad un atteggiamento più spirituale verso la vita. Solo il
cristianesimo era in grado di riempire il vuoto esistente nella vita spirituale del tempo.
Altro contributo dei grandi filosofi greci alla causa del cristianesimo fu l’appello ai Greci dell’epoca,
perché rivolgessero la loro attenzione ad una realtà trascendente il mondo temporale e relativo nel qualevivevano. Sia Socrate che Platone, vissuti ambedue nel V sec. a. C., insegnavano che questo mondo attuale,
passeggero, dei sensi, non e che un’ombra del mondo reale nel quale i più alti ideali sono costituiti da
astrazioni intellettuali: il bene, il bello, il vero. Essi insistevano nell’affermazione che la realtà non e
costituita dal temporale e dal materiale ma dallo spirituale ed eterno. La loro ricerca della verità non li
conduceva mai ad un dio personale, ma presentava il meglio che l’uomo potesse fare nella ricerca di Dio per
mezzo dell’intelletto. Il cristianesimo offriva a queste persone che accettavano la filosofia di Socrate e di
Platone la rivelazione storica del Bene, del Bello e del Vero nella persona del Cristo, uomo-dio.
La letteratura e la storia greca convincono il lettore che la preoccupazione dei Greci era diretta a
questioni riguardanti il giusto e l’ingiusto e il futuro eterno dell’uomo. Nel suo dramma, “Agamennone”,
Eschilo nell’affermare che i guai di Agamennone sono conseguenza delle sue cattive azioni, si avvicina
all’affermazione biblica: ” Sappiate che il vostro peccato vi ritroverà” (Numeri 32: 23). Ma la concezione
greca del peccato non considerò mai questo come qualcosa che andasse al di la di una questione contrattuale
e meccanica; non era mai ritenuto un problema personale che recasse offesa a Dio e ferisse gli altri.
All’epoca della venuta di Cristo, gli uomini si resero conto, come non era mai avvenuto prima,
dell’insufficienza della ragione umana e del politeismo. Le filosofie individualistiche di Epicuro e di
Zenone e le religioni dei misteri testimoniano tutte del desiderio dell’uomo di un rapporto più personale con
Dio. Al suo sopraggiungere con l’offerta di questa possibilità, il cristianesimo trovo molti cuori affamati,
conseguenza questa dell’inadeguatezza della cultura greca.
III. APPORTI RELIGIOSI
Tra i contributi religiosi che permisero di raggiungere la “pienezza dei tempi”, oltre a quello fidato
dagli Ebrei, vi sono quelli dei greci e dei romani. Ma per quanto grandi siano stati quelli di Atene e Roma,
l’apporto dato dai Giudei risulto il patrimonio ereditario del cristianesimo. Nonostante lo sviluppo avvenuto
nella sfera politica di Roma e l’ambiente intellettuale creato dalla cultura greca e che esso dovette affrontare,
il legame del cristianesimo col giudaismo fu molto più intimo. Quest’ultimo può essere considerato come il
gambo dal quale sarebbe sbocciata la rosa del cristianesimo.
A. La religione romana
A seguito delle conquiste romane molti popoli persero la fede nei loro dii che non erano stati in
grado di salvarli dalle sconfitte subite, venendosi cosi a trovare in una situazione di vuoto spirituale che non
poteva essere riempito soddisfacentemente dalle religioni del tempo. Inoltre quei sostituti che aveva da
offrire Roma per le perdute religioni riuscivano soltanto a far avvertire la necessita di una religione più
spirituale. Il culto dell’imperatore romano, che fece la sua comparsa agli inizi dell’era cristiana, era soltanto
un mezzo inteso a far leva sul popolo al fine di rendere tangibile il concetto di un impero romano.
Le varie religioni dei misteri, che sembravano offrire qualcosa di più nel campo spirituale ed
emotivo, furono le maggiori rivali del cristianesimo. Il culto di Cibele, la grande madre terra, che era stato
introdotto dalla Frigia, con i suoi riti dedicati alla Idea della fecondità, come il dramma della morte e
risurrezione del marito di questa, Atti, che sembrava soddisfare il bisogno di emozioni dell’uomo. Simile a
questo per l’importanza attribuita alla morte e alla risurrezione, il culto di Iside, proveniente dall’Egitto. II
culto di Mitra, introdotto dalla Persia, esercitava un particolare richiamo sui soldati dell’Impero Romano.
Esso aveva una festività in dicembre, con una personificazione del male, un salvatore nato in maniera
miracolosa,Mitra, salvatore dio. Tutte queste religioni si imperniavano su un salvatore dio. Il culto di Cibele
richiedeva il sacrificio di un toro ed il battesimo degli adepti col sangue di esso. Quello di Mitra
comprendeva, tra le altre cose, pasti sacrificali. L’influenza di queste religioni faceva apparire poco strane le
pretese del cristianesimo sull’individuo. Molti, accortisi dell’inutilità dei sacrifici cruenti di queste religioni,
furono spinti dallo Spirito Santo ad accettare la realtà offerta loro nel cristianesimo.B. La religione greca
Anche i Greci diedero il loro apporto alla preparazione del mondo ad accettare la religione cristiana
al suo apparire. L’avvento della filosofia materialistica greca nel VI secolo a. C. aveva distrutto la fede del
vecchio sistema politeistico descritto da Omero nell’Iliade e nell’Odissea, e benché elementi di questo culto
si perpetuassero nella religione dello stato, che era soltanto esteriore, questa perse presto la sua vitalità. Ciò
spinse il popolo verso la filosofia, che vide ben presto sfiorire anch’essa il suo vigore. Sotto i successori dei
sofisti la filosofia era divenuta infatti un sistema di individualismo pragmatico o, come si riscontra negli
insegnamenti dello stoico Zenone o di Epicuro, un sistema di individualismo soggettivo. Lucrezio,
l’esponente poetico della filosofia epicurea, fondava il suo insegnamento del disprezzo per il soprannaturale
su una metafisica materialistica, secondo la quale anche lo spirito dell’uomo era considerato formato da un
tipo di atomi benché di minori dimensioni. Lo stoicismo ammetteva il soprannaturale, ma il suo dio si
identificava tanto intimamente con la creazione da costituire un sistema panteistico. Pur insegnando che
Dio e padre di tutti e che gli uomini sono tutti fratelli, e pur propugnando un codice etico di alto valore, lo
stoicismo lasciava quindi all’uomo il compito di ricavare da procedimenti razionali la sua forma di
obbedienza alle leggi naturali che egli avrebbe scoperto con la sua sola ragione.
I sistemi filosofico-religiosi greci e romani recarono cosi ambedue un contributo alla venuta del
cristianesimo, distruggendo le vecchie religioni politeistiche e mostrando l’incapacità della ragione umana
di giungere a Dio.
Le religioni misteriche, alle quali si rivolgevano molti, abituarono le menti a pensare in termini di
peccato e di redenzione. Cosi all’apparire del cristianesimo, i popoli dell’impero romano erano più ricettivi
nei riguardi di una religione che sembrava offrire una concezione spirituale della vita.
C. La religione giudaica
Contrariamente a quanto avveniva per i Greci, gli Ebrei non cercavano di scoprire Iddio attraverso
procedimenti della ragione umana, anzi partendo dall’assunto della Sua esistenza Gli accordavano
prontamente l’adorazione che ritenevano esserGli dovuta. A questa condotta essi erano stati spinti dal fatto
che Dio li aveva scelti e Si era storicamente rivelato loro attraverso le Sue apparizioni ad Abramo e agli altri
grandi capi della nazione. Gerusalemme era divenuta il simbolo di una positiva preparazione religiosa alla
venuta di Cristo; la salvezza sarebbe venuta invero “dai Giudei” (Giovanni 4:22). Da questa piccola nazione
vinta, posta al crocevia dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa, sarebbe venuto un Salvatore.
1. Per l’importanza attribuita ad un sano monoteismo spirituale, il giudaismo costituiva uno stridente
contrasto con la generalità delle religioni pagane. Dopo il ritorno dalla cattività di Babilonia, i
Giudei infatti non erano mai più ricaduti nell’idolatria. Il messaggio loro indirizzato da Dio
attraverso Mosè era quello della fedeltà all’unico vero Dio di tutta la terra; gli dei pagani erano solo
idoli che i profeti ebrei condannavano in termini espliciti.
Questo elevato monoteismo aveva ricevuto diffusione durante i tre secoli precedenti la venuta di
Cristo per mezzo di numerose sinagoghe sparse in tutto il bacino del Mediterraneo.
2. I Giudei offrivano agli uomini la speranza della venuta di un messia che avrebbe portato la giustizia
su questa terra. Tale speranza messianica contrastava nettamente con l’aspirazione nazionalistica
cantata da Orazio in uno dei suoi carmi ove descriveva la venuta di un ideale principe romano, figlio
nascituro di Augusto. Nel mondo romano la speranza di un messia si era diffusa tra il popolo per
mezzo della incessante proclamazione fattane dai Giudei, e anche i discepoli dopo la morte e
risurrezione di Cristo, erano in attesa di un regno messianico terreno (Atti 1:6). E’ perciò molto
probabile che i magi che apparvero in Gerusalemme poco dopo la nascita di Cristo, fossero a
conoscenza di questa speranza. L’aspettativa di molti cristiani d’oggi aiuta a comprendere
l’atmosfera di aspettativa esistente nel mondo giudaico circa la venuta del Messia.3. Nella parte morale della propria legge, il Giudaismo offriva inoltre al mondo il più puro sistema
etico esistente; l’elevatezza dei Dieci Comandamenti era in stridente contrasto con i sistemi etici
prevalenti in quel tempo e la loro ancor più corrotta attuazione pratica da parte di coloro che li
professavano. Per il Giudeo il peccato non era la inadempienza esteriore, meccanica e contrattuale
dei Greci e dei Romani, ma una violazione della nota volontà di Dio che si esprimeva in un cuore
impuro e quindi in manifesti atti esteriori di peccato. Questa concezione morale e spirituale del
Vecchio Testamento dava vita ad una dottrina del peccato e della redenzione che affrontava in
forma reale il problema del peccato. La salvezza veniva da Dio ed i sistemi etici razionalistici o le
religioni soggettive misteriche non avrebbero potuto aiutare l’uomo a trovarla.
4. Il popolo ebreo contribuì ancor maggiormente nel preparare la via alla venuta del cristianesimo
fornendo alla Chiesa nascente un libro sacro, il Vecchio Testamento. Il profondo senso del debito di
riconoscenza di Cristo e degli apostoli per il Vecchio Testamento e la loro riverenza per esso, in
quanto Parola di Dio, risulteranno evidenti anche ad uno studio superficiale del Nuovo Testamento.
Molti gentili lo avevano letto, familiarizzandosi cosi con le dottrine della fede giudaica; questo fatto
ci viene presentato nelle esposizioni di numerosi proseliti al giudaismo, molti dei quali poterono
passare dal giudaismo al cristianesimo, proprio a motivo del Vecchio Testamento, il libro sacro
della neonata Chiesa. Molte religioni, tra cui ad esempio quella mussulmana, si rifanno, per i loro
testi sacri, ai loro fondatori ma Cristo non lasciò scritti sacri. La letteratura vivente della Chiesa
sarebbe stata costituita dai libri del Vecchio e del Nuovo Testamento scritti sotto l’ispirazione dello
Spirito Santo.
5. Agli Ebrei si deve anche l’istituzione la cui utilità nel sorgere e nello sviluppo del cristianesimo
primitivo e spesso dimenticata dai cristiani: la sinagoga ebraica. Nata per necessita a causa della
lontananza forzata degli Ebrei dal tempio di Gerusalemme, durante la cattività di Babilonia, essa
divenne parte integrale della loro vita. Attraverso di essa gli Ebrei, ed anche molti Gentili, vennero a
conoscenza di una più alta concezione della vita. La sinagoga era il primo luogo in cui Paolo si
recava a predicare; nelle città che egli raggiungeva nel corso dei suoi viaggi missionari essa divenne
la casa di predicazione del cristianesimo primitivo. H ragionamento secondo il quale il sistema di
governo praticato nella Chiesa primitiva doveva molto ai suoi antecedenti della sinagoga ha alcuni
fondamenti reali: gli anziani e i diaconi della Chiesa primitiva sono reminiscenza di incarichi simili
della sinagoga ebraica. Il giudaismo fu veramente il pedagogo per condurre gli uomini a Cristo
(Galati 3:23-25).
Tutto ciò che e stato discusso fin qui mostra come le condizioni di tempo e di luogo nel periodo del
sorgere del cristianesimo fossero le più propizie. In nessun altro periodo della storia del mondo antecedente
alla venuta di Cristo si trovo un territorio cosi vasto sotto l’imperio di una sola legge e di un solo governo. Il
mondo mediterraneo aveva inoltre una sola cultura, il cui centro era Roma. Una lingua universale rese
possibile la presentazione dell’Evangelo alla maggioranza Idella popolazione dell’Impero in un idioma
comune ad essa ed al predicatore.
La Palestina, culla della nuova religione, occupava una posizione strategica nel mondo di quel
tempo. Paolo aveva ragione nel proclamare che il cristianesimo non e qualcosa di “fatto in un cantuccio”
(Atti 26:26), perché la Palestina era un importante crocevia che collegava l’Asia e l’Africa con l’Europa a
mezzo di una grande strada di comunicazione terrestre. Molte delle più importanti battaglie della storia
antica furono combattute per il possesso di quest’area strategica. Nel periodo della sua nascita e durante i
primi tre secoli della sua esistenza, le condizioni per la diffusione del cristianesimo nel mondo mediterraneo
furono più favorevoli di qualunque altro periodo dell’evo antico o medio.
In maniera negativa, attraverso il mondo greco e romano e in forma positiva, attraverso il giudaismo, il
mondo era preparato per la “pienezza dei tempi”, quando Iddio invio il Suo Figliuolo per portare la
redenzione ad un’umanità dilaniata dalla guerra e logorata dal peccato. E’ significativo il fatto che di tutte le
religioni praticate nell’impero romano al tempo della nascita di Cristo, solo il giudaismo o il cristianesimo
siano riusciti a sopravvivere nel mutevole corso della storia umana.SU QUESTA PIETRA
La roccia sulla quale si fonda la Chiesa di Cristo; attraverso Lui si riceve la fede in Dio per essere
salvati dal peccato, e da Lui raggiunge il cuore dell’uomo l’amore che ci spinge a considerare sacro
l’individuo in quanto Dio e creatore dell’essere fisico e spirituale dell’uomo e perché Egli è la base per la
speranza nel futuro.
I. STORICITÀ DI CRISTO
I valori del cristianesimo si realizzano da un punto di vista umano nella storia temporale. Essendo
questi valori inestricabilmente collegati alla persona, vita e morte di Cristo, bisogna esaminare le prove
dell’esistenza storica di Cristo. Molti hanno negato che Cristo si sia manifestato nella storia umana (Giov.
1:14), ma esistono fortunatamente prove storiche estranee alla Bibbia che ne confermano l’esistenza.
A. La testimonianza pagana
Il maggiore degli storici romani, Tacito, collega il nome e le origini dei cristiani a “Christus” che nel
regno di Tiberio a “soffrì la morte condannato dal procuratore Ponzio Pilato”.
Plinio, propretore della Bitinia e del Ponto, in Asia Minore, verso l’anno 112 scriveva all’imperatore
Traiano chiedendo istruzioni sulla maniera di trattare i cristiani. La sua epistola fornisce preziosi ragguagli
extra-biblici su Cristo. Egli rendeva grandi onori all’integrità morale dei cristiani scrivendo che i cristiani
non erano inclini a commettere furto o adulterio, a mancare alla parola, o a negare un deposito loro affidato.
Egli proseguiva dicendo che essi “cantano un inno a Cristo come a un Dio”.
Altro testimone, animato da spirito alquanto satirico, e per tal ragione prezioso, e Luciano, che
scrisse una satira sui cristiani e la loro fede verso il 170 d. C. Questi descriveva Cristo come colui “che era
stato crocifisso in Palestina” perché aveva dato inizio a “questo nuovo culto.” Egli scriveva che Cristo aveva
insegnato ai cristiani a credere che erano fratelli e che dovevano osservare le sue leggi, mettendoli in
ridicolo perché adoravano quel sofista crocifisso”.
Queste testimonianze costituiscono prove di alto valore storico per la loro provenienza da Romani
che disprezzavano i cristiani ed erano loro ostili. Sulla base di queste testimonianze, non tenendo conto
della Bibbia, che rimane tuttavia anche un’opera storica, si può concludere che esistono prove valide
sull’esistenza storica di Cristo.
B. La testimonianza ebraica
Anche Flavio Giuseppe, il facoltoso giudeo che cercò con i suoi scritti di presentare ai colti romani
un’apologia del giudaismo, parla di Cristo. Scrivendo intorno a Giacomo, egli lo indica come “il fratello di
Gesù, cosiddetto Cristo”.
In altro brano, spesso condannato come interpolato ad opera di cristiani, ma da molti ritenuto
autentico, l’autore diceva che Cristo era “un saggio” condannato a morire sulla croce da Pilato. Anche
ammettendo l’eventualità di qualche interpolazione dovuta a cristiani, la maggioranza degli studiosi
concordano nell’affermare che questa informazione di tanto valore e con grandissima probabilità parte del
testo originale. Giuseppe Flavio non era certamente un amico del cristianesimo e perciò le sue parole su
Cristo rivestono maggiore importanza storica.II. LA PERSONA DI CRISTO
La Bibbia ci fornisce qualche indicazione sulla personalità e sul carattere di Cristo, ed anche una
lettura casuale dei Vangeli lascia una profonda impressione della Sua originalità. Mentre le persone
autorevoli tra gli Ebrei e del tempo moderno si rifanno all’altrui autorevolezza a sostegno delle proprie
asserzioni, Cristo pronunziava semplicemente le parole: “Io vi dico”. Le affermazioni che seguivano all’uso
di questa espressione e di altre simili contenute nei Vangeli, mostravano la creatività ed originalità del
pensiero di Cristo, che meravigliavano la gente del suo tempo (Marco 1:22; Luca 4:32).
Nelle narrazioni bibliche risulta anche la sua sincerità: Egli era il solo essere che non avesse nulla da
nascondere e che potesse così essere completamente Se stesso, e dai Vangeli ricaviamo un’impressione di
equilibrio nel Suo carattere. Abitualmente si associano l’ardire a Pietro, l’amore a Giovanni, e la mitezza ad
Andrea. Ma in Cristo nessuno di questi aspetti e presente in modo eccessivo; anzi, le narrazioni ci rivelano
equilibrio ed unita di carattere. Questo equilibrio, originalità e trasparenza possono trovare un’adeguata
spiegazione solo nella narrazione storica della nascita verginale di Cristo.
III. L’ OPERA DI CRISTO
L’importanza trascendente della personalità di Cristo non deve mai essere dissociata dalla Sua
opera, che era attiva e passiva ad un tempo. Durante il Suo ministerio triennale, Cristo diede prova di una
giustizia rispondente ai requisiti richiesti dalla legge, che si aggiungeva alla Sua intrinseca giustizia come
Figliolo di Dio. Questa giustizia estrinseca, cui era pervenuto, lo qualificava a morire per gli uomini, i quali
non avrebbero mai potuto raggiungere una simile giustizia e che, per ottenere da Dio il perdono dei loro
peccati, avevano bisogno di un sostituto giusto. A questo lato attivo faceva riscontro l’opera passiva, la Sua
morte volontaria sulla croce (Filippini 2: 5-8). Queste due fasi storiche dell’opera di Cristo sono
compendiate nella Sua dichiarazione circa la Sua missione di servizio e sofferenza (Marco 10: 45).
A. Il ministerio di Cristo
Se si eccettuano le descrizioni della visita di Cristo a Gerusalemme con i Suoi genitori all’età di
dodici anni (Luca 2:41-50) ed alcuni accenni, sparsi qua e là, a Sua madre e ai Suoi fratelli, ben poco si sa
dei molti anni vissuti da Cristo a Nazareth.
Con molta probabilità ricevette la Sua istruzione biblica in casa e nella scuola della sinagoga e
poiché ogni fanciullo ebreo veniva addestrato in un mestiere, Egli aveva appreso quello del padre. La
posizione di Nazareth, su una delle principali vie di comunicazione, gli permetteva di osservare la vita del
mondo esterno che attraversava la Sua città. Le Sue parabole ed i Suoi sermoni mostravano che Egli era un
acuto osservatore della natura e che conosceva Iddio attraverso la rivelazione data per mezzo di questa oltre
che per mezzo del Vecchio Testamento. Questi anni furono per Lui anni di sviluppo fisico, sociale, mentale
e spirituale (Luca 2:52) in preparazione della grande opera che Lo attendeva.
Il Suo ministerio fu preceduto dal breve ministerio del Suo precursore, Giovanni Battista, e la Sua
prima apparizione e legata al battesimo amministratoGli da questi. Un attento studioso del ministerio di
Gesù noterà che, per tutta la durata del Suo ministerio, dopo tale avvenimento, Egli operò d’abitudine in
centri giudaici Questa condotta era in armonia con la Sua asserzione, secondo la quale Egli era venuto per le
“pecore perdute d’Israele” (Matteo 15:24).
Dopo la Sua tentazione nel deserto, Cristo procedette alla scelta di alcuni dei discepoli che, dopo la
Sua risurrezione ed ascensione, avrebbero dovuto continuare la Sua opera sotto la guida dello Spirito Santo.
Una visita a Cana segnò l’occasione del Suo primo miracolo, la trasformazione dell’acqua in vino. Segui
quindi una breve visita a Gerusalemme durante la quale Egli purificò il tempio ed ebbe lo storico colloquio
con Nicodemo che rivelò la natura spirituale del Suo ministerio (Giovanni 3:3, 5, 7). Ma l’episodio della
donna samaritana (Giovanni cap. 4), verificatosi durante il viaggio di ritorno in Galilea attraverso la
Samaria, fu la dimostrazione che il Suo ministerio non sarebbe stato limitato da barriere di nazioni o disesso, anche se la Sua missione era rivolta principalmente ai Giudei.
Respinto a Nazareth, Cristo fece di Capernaum il punto di partenza per il ministerio in Galilea che
costituì gran parte del Suo servizio terreno a pro degli uomini. Da qui Egli effettuo tre giri della Galilea. Il
primo, svoltosi principalmente nella Galilea orientale, fu contrassegnato dalla guarigione del paralitico,
dello zoppo e di molti altri oltre che dalla risurrezione del figlio della vedova di Nain e dal completamento
della scelta dei discepoli. Ai miracoli si accompagno la superba presentazione dei principii che secondo la
sua affermazione dovrebbero regolare la condotta umana e che sono esposti nel Sermone sul Monte, il cui
tema e che la vera religione e spirituale e non consiste solo di atti esteriori richiesti dalla legge.
Il punto saliente del secondo viaggio di Cristo, nella Galilea meridionale, fu costituito
dall’insegnamento da Lui dato in parabole circa il Suo regno (Matteo cap. 13), mentre gli altri miracoli
come la guarigione dell’indemoniato di Gadara e della figliuola di Iairo, furono testimonianza del Suo
potere di appoggiare le parole con gli atti.
Il terzo giro fu un proseguimento della Sua opera d’insegnamento, predicazione e guarigione.
I tre viaggi in Galilea furono seguiti da brevi periodi di ritiro durante i quali il principale obiettivo di
Cristo sembrò essere costituito dalla preparazione dei Suoi discepoli. Ciò nondimeno Egli trovò ancora
tempo di soddisfare ai bisogni di quelli che venivano da Lui, come dimostra la prima moltiplicazione dei
pani e dei pesci avvenuta al Suo primo ritiro. Egli diede ancora prove della Sua signoria sulla natura
camminando sul mar di Galilea, miracolo che convinse i Suoi discepoli della veridicità delle Sue
affermazioni di esser Figliolo di Dio, e mediante la guarigione, verificatasi nel corso del Suo secondo
periodo di ritiro, della figlia della donna sirofenicia che aveva dimostrata una notevole fede in Cristo. Il
terzo ritiro in solitudine fu una ulteriore rivelazione del Suo potere di operare guarigioni e di arrecare
benedizioni.
Al prolungato ministerio in Galilea segui un breve periodo trascorso a Gerusalemme per la festa dei
Tabernacoli, nel corso della quale Cristo affronto e combatte coraggiosamente la crescente opposizione dei
capi religiosi, farisei e sadducei. A motivo di questa, Egli si ritiro ad est del Giordano in Perea,
insegnandovi ed operando guarigioni.
Questo ministerio in Perea fu seguito dal breve ministerio della ultima settimana in Gerusalemme,
durante il quale combatté pubblicamente la crescente inimicizia contro di Lui dei capi politici ed
ecclesiastici ebrei. Nel Suo insegnamento in parabole Egli li rimprovero per il loro concetto meccanico ed
esteriore della religione. I tristi giorni finali precedenti alla crocifissione, posero fine al Suo ministerio
attivo a favore del mondo. Successivamente alla Propria gloriosa risurrezione, fatto storico provato sulla
base documentaria fornitaci dal Nuovo Testamento, Egli apparve solo ai Suoi seguaci. Suo ministerio
culminò infine nella Sua ascensione al cielo avvenuta in presenza dei Suoi discepoli, preceduta dalle Sue
promesse di inviare lo Spirito Santo in vece Sua e di ritornare nuovamente su questa terra.
La Chiesa cristiana ha la fortuna di possedere quattro narrazioni del ministerio svolto da Cristo sulla
terra. Ciascun autore presenta la sua narrazione da un diverso punto di vista. Matteo sottolinea il lato regale
di Cristo, il Messia promesso che ha adempiute le promesse dell’Antico Testamento, e lo fa servendosi
costantemente delle parole “affinché si adempisse quanto era stato detto dai profeti”. Marco, che faceva
appello alla mentalità pratica dei Romani, metteva in rilievo il lato pragmatistico del ministerio di Cristo. Il
senso dell’azione e della potenza e accennato dall’uso costante della parola greca “euthus” variamente
tradotta con ” subito” o “in quell’istante” etc. Luca, lo storico, (Luca 1 :1-4) ci presenta il lato umano del
ministerio di Cristo. Giovanni presenta Cristo come il Figliuolo di Dio con il potere di arrecare benedizioni
a quelli che Lo accettano per fede (Giovanni 1:12; 20:30, 31).B. La Missione di Cristo
La fase attiva del ministerio di Cristo, che si estese per un periodo di tre anni, era soltanto di
preparazione alla fase passiva della Sua opera, la Sua morte sulla croce, il grande avvenimento
preannunziato dai profeti (Isaia cap. 53) che avrebbe determinato la sconfitta finale di tutte le forze del male
e concesso a quelli che Lo accettano tutta la potenza spirituale frutto della Sua opera sulla croce (Efesini
1:19-23; 3:20). Era questo l’importante scopo temporale ed eterno, per il quale era venuto sulla terra. I
Vangeli danno particolare risalto a questo fatto e raggiungono il culmine in passi quali Matteo 16:21; Marco
8:31 e Luca 9:44.
C: Il messaggio di Cristo
Benché la missione principale di Cristo sulla terra si sia compiuta sulla croce, il Suo messaggio non
si accentrò su di essa, ne essa fu considerata come fine a se stessa. Studiando attentamente i Vangeli si
riscontrerà che il messaggio principale dell’insegnamento di Cristo era il regno. Egli usava due espressioni:
“Il regno di Dio” e “il regno dei cieli”. Quest’ultima in particolare si rinviene soprattutto in Matteo. Il
,significato di questi termini ha portato a una grande controversia nel seno della Chiesa.
Secondo le due più importanti interpretazioni date a queste formule, si intende per regno di Dio il Suo
imperio su tutti gli esseri dell’universo che Gli offrono volontaria fedeltà. In questo regno spirituale che
comprende tempo ed eternità, entrano gli esseri umani in seguito ad una rinascita spirituale (Giovanni 3:3,
5, 7; Matteo 6:33). Non si fa mai alcuna allusione all’esistenza del diavolo in questo regno nel quale Cristo
stesso sarà sottoposto al Padre (I Corinzi 15:24-28). Ambedue i gruppi cui risalgono queste interpretazioni
credono che al momento presente questo regno sia di natura etica e spirituale, e collegato alla Chiesa. Per
tutti e due la sua realizzazione escatologica e tuttavia ancora da venire.
La discussione sulle parole “regno dei cieli” porta ad una divisione di pareri. Per alcuni le due
espressioni sono sinonime, mentre altri ritengono che esse si riferiscano a due regni separati benché in una
certa misura combacianti. La ragione principale per la distinzione operata tra le due sorge dall’uso e
dall’interpretazione dati da Cristo alle parabole delle zizzanie e della rete nel descrivere il regno di Dio.
Considerato che queste due parabole presuppongono nel regno dei cieli la coesistenza di uomini buoni e
cattivi e che tutti i riferimenti al regno di Dio parlano solo di coloro volontariamente sottoposti alla volontà
di Dio, per molti i impone una divisione tra i due termini che non possono quindi essere usati come
sinonimi.
Coloro che propendono per la sinonimia dei due termini e che li identificano con la Chiesa pensano
che alla realizzazione del regno si perverrà attraverso un processo evolutivo storico nel quale la Chiesa
compirà l’opera di preparazione per un regno che Cristo riceverà al Suo ritorno. L’azione sociale per la
creazione di un ambiente migliore per l’uomo e una parte importante del loro piano; il cristianesimo viene
cosi spesso interpretato in termini etici a spese dell’opera espiatrice compiuta sulla croce. La base da cui
sono partiti i liberali per sviluppare tale teoria, e stata l’identificarsi, sostenuto da Agostino, di questo
termine coll’età della Chiesa.
Altri, che pur non sottoscrivendo la suddetta interpretazione, ritengono tuttavia sinonimi i due termini,
credono che la realizzazione finale del regno sia futura e che avverrà in maniera sovrannaturale e
cataclismica al ritorno di Cristo, e non accettano la concezione evolutiva del gruppo predetto. Costoro, che
sono comunemente noti come amillenaristi, non condividono l’idea di un regno milleniale di Cristo.
I premillenaristi, per i quali i due termini sono identici, ritengono che il regno dei cieli sia legato al
governo di Cristo su questa terra, ed identificano il regno di Dio con il governo eterno di Dio Padre. Nel
periodo attuale della Chiesa, il regno dei cieli equivarrebbe alla cristianità; nella quale sono mescolati
cristiani, cristiani professanti, increduli ed ebrei. Al ritorno di Cristo il regno dei cieli sarà purgato dei
Giudei e Gentili increduli e sarà governato per mille anni da Cristo e dalla Sua chiesa. Sara questo il regno
annunziato dai profeti nel quale Israele doveva essere benedetto in Palestina. Dopo una breve ribellione
capeggiata da Satana e successiva alla sua liberazione dalla cattività del millennio, Cristo rimetterà a Dio la
Propria autorità e la parte pura del regno dei cieli si fonderà col regno di Dio.LA CONCEZIONE PREMILLENIALE DEL REGNO DI DIO
Che si creda nella sinonimia o nella non identicità, non è argomento tanto importante, quanto il
parere concorde degli Evangeli su certi punti intorno ai quali non vi può essere disaccordo allorquando si
segua un corretto criterio di interpretazione delle Scritture. Cristo non ha mai affermato che il regno si
realizzerà per mezzo di un processo storico evolutivo nel quale la Chiesa, attraverso l’azione sociale,
prepara il mondo per la Sua venuta. Le Scritture insegnano chiaramente che la futura fase escatologica del
regno, distinta dalla presente fase etica e spirituale, si realizzerà in maniera sovrannaturale e apocalittica
alla venuta di Cristo, e non in forma progressiva quale risultato della opera della Chiesa.
Ne deriva cosi che il compito principale di questa non è la conversione del mondo per mezzo della
predicazione e dell’azione sociale, ma la proclamazione dell’Evangelo affinché quelli che devono formare la
vera Chiesa abbiano la possibilità di rispondere a quel messaggio per il senso di colpa destato nel loro cuore
dallo Spirito Santo. Tale è il compito specifico della Chiesa in questo periodo della storia umana, ma, ciò
non preclude al cristiano, che è anche cittadino dello stato, la possibilità di un’applicazione pratica
quotidiana del cristianesimo nella società.
D. I miracoli di Cristo
I miracoli di Cristo furono numerosi e costituirono una parte importante del Suo ministerio. Essi
dovevano rivelare la gloria di Dio e mostrare che Cristo era il Figliuolo di Dio (Giovanni 3:2), perché
nascesse negli uomini la fede in Lui. Ad essi vengono dati vari nomi: potenza, opere, prodigi, segni.
Razionalisti ed empiristi ne hanno negato la possibilità ed hanno cercato di spiegarli con le leggi della
natura o definendoli miti, posizione quest’ultima, che comporta necessariamente la negazione della
veridicità storica della narrazione.
I miracoli possono essere definiti fenomeni, non spiegabili con le leggi naturali conosciute, operati
per speciale intervento della divinità proponenti fini morali; la possibilità del loro verificarsi e dimostrata
dall’esistenza di documenti storici che ce li descrivono come fatti storici. I miracoli operati da Cristo
servirono ad autenticarne, agli occhi idi molti increduli del Suo tempo, la persona e l’opera.
E. Il valore della persona di Cristo
Molte sono state le opinioni umane intorno a Cristo, questa sorprendente persona che ci viene tanto
egregiamente tratteggiata nei Vangeli. Nei maggiori periodi di controversia teologica, tra il 325-451 ed il
1517-1648, gli uomini cercarono di stabilire una esatta interpretazione del Cristo soprattutto mediante la
formulazione di credi.
I mistici Lo hanno considerato il Cristo della immediata esperienza personale. Altri, alla fine del
diciottesimo ed inizio del diciannovesimo secolo; ne hanno parlato come del Cristo della storia e cercato di
negare il sovrannaturale, si da poterLo considerare soltanto un uomo straordinario. Ma per il vero cristiano
Egli è sempre stato il Cristo di Dio.
Il significato storico di Cristo consiste nella nascita di un valore nuovo attribuito alla personalità
umana. I Greci insistevano sulla dignità della personalità umana per la natura razionale dell’uomo, ma la
Chiesa ha sempre insistito sulla dignità di essa, in quanto l’uomo è in potenza o in atto figliuolo di Dio
attraverso la fede in Gesù Cristo. La concezione cristiana ha portato alla umanizzazione della vita. Barriere
di classe e di razza sono cadute nella Chiesa e la riforma sociale ha determinato migliori condizioni di vita
per tutti gli uomini. Gli evangelici furono alla guida delle riforme sociali del diciannovesimo secolo in
Inghilterra. Ma ciò che e al di sopra di tutto, e che l’importanza attribuita ad un codice etico interiore anziché
a regole esteriori e il risultato del contatto della personalità umana con il Cristo del Calvario.
La persona, l’opera, gli insegnamenti di Cristo e, sopra ogni cosa, la Sua morte e
resurrezione segnano l’inizio del cristianesimo. Molte religioni potrebbero esistere anche senza i lorofondatori, ma il togliere Cristo al cristianesimo lascerebbe un guscio vuoto e senza vita. Cristo ha dato alla
Sua Chiesa i suoi due ordinamenti, gli apostoli, il suo messaggio fondamentale del Regno di Dio, la sua
disciplina (Matteo 16:1619; 18:15-20) e lo Spirito Santo che opera attraverso la Chiesa per
l’evangelizzazione del mondo.
Egli non lasciò nessuna organizzazione di base, ne alcun sistema ben definito di dottrina. Questi
avrebbero dovuto essere elaborati dagli apostoli, tra cui Paolo, sotto la guida dello Spirito Santo inviato da
Cristo sulla terra per ministrare in Sua assenza. La vera Chiesa avente per fondamento Cristo e per
fondatore lo Spirito Santo, avrebbe avanzato trionfalmente esaltando il Suo crocifisso, risorto ed asceso
Signore, dal giorno della Pentecoste fino ad oggi.
AL GIUDEO PRIMA
L’uso del tempo futuro seguito in Matteo 16:18 nelle parole: “Su questa pietra edificherò la mia
Chiesa” ci mostra in maniera evidente che Cristo è il fondamento piuttosto che il fondatore della Chiesa.
Luca afferma di averci informati nel suo Vangelo “di tutto quel che Gesù prese a fare e ad insegnare” (Atti
1: 1), e nel libro degli Atti presenta il resoconto della fondazione della Chiesa cristiana e degli inizi della sua
espansione per opera degli apostoli sotto la guida dello Spirito Santo.
Neppure i discepoli avevano compreso la natura spirituale della missione di Cristo; volevano infatti
sapere se dopo la Sua risurrezione, Egli avrebbe restaurato il regno messianico (Atti 1: 6). Cristo disse loro
invece che, dopo aver ricevuto la pienezza della potenza dello Spirito Santo, il loro compito sarebbe stato di
testimoniare di Lui “in Gerusalemme e in tutta la Giudea e in Samaria e fino alle estremità della terra” (Atti
1:8).
È da notare che Cristo diede la precedenza alla proclamazione agli Ebrei; anche uno studio
superficiale degli Atti rivelerà che tale e l’ordine seguito dalla Chiesa primitiva: l’Evangelo venne
proclamato dapprima in Gerusalemme da Pietro, il giorno della Pentecoste e venne quindi portato dai
cristiani ebrei ad altre città di Giudea e Samaria.
Perciò la Chiesa primitiva era prima di tutto giudaica ed esisteva nel seno del giudaismo; e lo
sviluppo del cristianesimo nel seno del giudaismo e il suo giungere fino ad Antiochia vengono descritti da
Luca nei primi dodici capitoli del libro degli Atti.
I. FONDAZIONE DELLA CHIESA DI GERUSALEMME
Può sembrare paradossale, ma quello che era stato il centro di maggiore ostilità a Cristo divenne la
città dove la religione cristiana si presento al mondo per la prima volta e, dall’anno 30 al 44 circa, la Chiesa
di Gerusalemme occupò una posizione di predominio nella primitiva comunità cristiana.
Lo Spirito Santo ebbe una posizione preminente nella fondazione della Chiesa, secondo le promesse
fatte da Cristo, poche settimane prima della sua morte, di inviare un altro “consolatore” che avrebbe assunto
la guida della Chiesa dopo la Sua ascensione. Studiando attentamente il testo di Giovanni 14:16-18, 15:26,
27 e 16:7-15 appariranno chiari i compiti dello Spirito Santo nella Chiesa primitiva Infatti i punti principali
su cui si sofferma il libro degli Atti sono la risurrezione di Cristo, argomento della predicazione apostolica,
lo Spirito Santo che, dal giorno della Pentecoste, doveva essere potenza e guida della comunità cristiana.
LO Spirito Santo divenne l’agente di cui si servi la Trinità per l’opera di redenzione umana.
Al momento della fondazione della Chiesa erano presenti a Gerusalemme, per osservare la festa
della Pentecoste, Giudei ivi convenuti da tutte le parti del mondo mediterraneo (Atti 2:5-11). Cosi la
manifestazione sovrannaturale di potenza divina delle lingue e della discesa dello Spirito Santo, verificatasi
alla nascita della Chiesa, recò ai Giudei intervenuti l’annunzio delle meravigliose opere di Dio, a ciascuno
nella propria lingua (Atti 2:11). Di essa Pietro profittò per il primo e probabilmente il più fruttuoso sermoneche sia mai stato predicato, la dichiarazione della messianicità di Cristo e della Sua grazia redentrice.
Almeno tremila persone accettarono la parola da lui annunziata e furono battezzati (Atti 2:41). In tal
maniera prese vita l’entità o organismo fondamentale del cristianesimo, la Chiesa invisibile, corpo del
Cristo resuscitato.
L’espansione fu rapida. Altri si aggiunsero quotidianamente al novero dei tremila originari finché si
giunse ben presto ai cinquemila (Atti 4:4), e in seguito si parla di moltitudini che entrano a far parte della
Chiesa (Atti 5:14). E’ interessante sapere che molti di questi erano Ellenisti (Atti 6:1) della dispersione, che
erano in Gerusalemme per celebrare le grandi festività legate alla Pasqua ed alla Pentecoste. Nemmeno i
sacerdoti furono immuni dal contagio di questa nuova fede e tra i membri della chiesa primitiva a
Gerusalemme vengono citati anche ” una gran quantità di sacerdoti” (Atti 6:7). Alcuni di essi avevano forse
visto lacerarsi il grande velo del tempio che aveva accompagnato la morte di Cristo, e questo, unitamente
alla predicazione degli apostoli, li aveva convinti alla fede in Cristo.
Tale rapido sviluppo non avvenne, pero, senza molta opposizione da parte dei Giudei. Le autorità
religiose, che si erano rese prontamente conto che il cristianesimo rappresentava una minaccia alle loro
prerogative di interpreti e sacerdoti della legge, unirono le loro forze per combattere il cristianesimo. La
prima persecuzione venne dal Sinedrio, un organismo politico-religioso che, con il beneplacito dei Romani
controllava la vita civile e religiosa dello stato. Pietro e Giovanni vennero trascinati almeno due volte
dinanzi a tale augusto consesso e venne loro interdetto di predicare l’Evangelo, proibizione cui essi non
obbedirono. In seguito la persecuzione assunse carattere eminentemente politico; fu in questo periodo che
Erode fece uccidere Giacomo ed imprigionare Pietro (Atti cap. 12).
Questa iniziale persecuzione diede al cristianesimo il suo primo martire, Stefano, uno dei più in
vista tra i sette scelti per amministrare le opere di carità della Chiesa di Gerusalemme. Falsi testimoni, che
non erano in grado di contraddire allo spirito ed alla logica con i quali parlava, lo trascinarono davanti al
Sinedrio perché si discolpasse del reato imputatogli. Ma a conclusione di un infuocato discorso con il quale
egli accusava i capi giudei di aver respinto Cristo, la plebaglia inferocita lo trasse fuori del Sinedrio,
all’aperto, e quivi lo lapidò.
Il primo martirio nella storia della Chiesa costituì un prezioso fattore nella diffusione e sviluppo del
cristianesimo. Saulo, che sarebbe in seguito divenuto l’apostolo Paolo, faceva la guardia ai mantelli di
coloro che lapidavano Stefano, ed e quasi indubbio che il coraggio e lo spirito di perdono dimostrati da
Stefano in occasione della sua morte crudele, colpirono profondamente il cuore di Paolo. Le parole
rivoltegli da Cristo: “Ti è duro di ricalcitrar contro agli stimoli” (Atti 9:5) sembrerebbero esserne una
conferma. La persecuzione che ne segui fu aspra e la dispersione della Chiesa nascente fu il mezzo di
diffusione del messaggio in altre parti del paese (Atti 8:4).
Non tutti i convertiti al cristianesimo avevano pero un cuore intero. L’inganno perpetrato da Anania
e Saffira costituì la prima causa, nella chiesa di Gerusalemme, di una azione disciplinare, immediata e
terribile, che venne esercitata attraverso gli apostoli che erano i capi di questa giovane organizzazione.
Il racconto della punizione toccata a questa coppia colpevole solleva la questione relativa
all’esistenza nella Chiesa primitiva della pratica del comunismo. Qualche comunista ha tentato con vigore
di dimostrare allo scrivente che i cristiani primitivi praticavano il comunismo. Passi come Atti 2:44, 45 e
4:32 sembrano fare stravedere la pratica di un socialismo utopistico basato sulla massima prediletta dai
socialisti. “Da ciascuno secondo la sua capacita, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Va, pero, notato che questa era soltanto una misura temporanea intesa probabilmente a far fronte ai
bisogni dei molti credenti provenienti da altri luoghi e desiderosi di istruzione nella nuova fede, prima del
loro ritorno alle proprie case. Riveste somma importanza il fatto che ciò fosse volontario. Pietro afferma
(Atti 5:3, 4) che Anania e Saffira erano liberi di conservare il possesso delle loro proprietà o di venderle. La
comunanza dei beni era puramente volontaria e non si può usare la Bibbia a giustificazione del comunismo
ai giorni nostri.Il cristianesimo primitivo promosse tuttavia grandi mutamenti sociali in alcuni campi. La Chiesa di
Gerusalemme insisteva sulla uguaglianza spirituale dei due sessi e attribuiva grande importanza alle donne
nella Chiesa. La funzione importante rivestita da Tabita nel promuovere le opere di carità viene riportata da
Luca (Atti 9: 36).
Altro notevole fenomeno sociale verificatosi agli albori della vita della Chiesa fu la creazione di un
gruppo di uomini col compito di prendersi cura dei bisognosi. La necessita, causata dal rapido sviluppo, e
probabilmente l’imitazione delle pratiche della sinagoga ebraica, condusse alla moltiplicazione degli
incarichi e degli uffici già agli inizi della storia della Chiesa. Al numero dei ministri si aggiunsero gli
anziani, cosicché infine apostoli, anziani e diaconi si dividevano la responsabilità della guida nella chiesa di
Gerusalemme.
La natura della predicazione dei conduttori della primitiva chiesa di Gerusalemme spicca nel
racconto della nascita del cristianesimo. Nel sermone di Pietro (Atti 2:1436), il primo ad opera di un
apostolo, notiamo che egli si richiamava ai profeti del Vecchio Testamento che predissero un sofferente
Messia, sostenendo quindi l’idea che tale Messia fosse Cristo perché Dio L’aveva risuscitato dai morti. Di
conseguenza Egli era in grado di recare la salvezza a quelli che volevano accettarLo per fede. Le tesi
principali dei primi sermoni degli apostoli sono compendiate nel testo di Atti 17: 2, 3. La necessita della
morte di Cristo per il peccato era stata preannunciata dai profeti e la risurrezione di Cristo era prova che Egli
era il Messia che poteva salvare gli uomini.
La stessa tecnica era seguita anche da Paolo (I Corinzi 15: 3, 4). La loro predicazione, ai Giudei
prima, ed ai Gentili in seguito, consisteva nella predicazione del Cristo crocifisso e risorto, e bene farebbe la
Chiesa di oggi a studiare il messaggio della Chiesa primitiva.
La chiesa di Gerusalemme, di cui abbiamo appena descritta brevemente la storia, perse presto la sua
funzione di guida del cristianesimo, cedendola ad altre. La decisione poi del Concilio di Gerusalemme di
non chiedere ai gentili la osservanza della legge apri la strada all’emancipazione spirituale delle chiese dei
Gentili dal controllo giudaico. L’assedio di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 d. C. costrinse i membri di
quella Chiesa a fuggire a Pella, al di là del Giordano. Dopo la distruzione del tempio e la fuga della Chiesa,
la città non venne più considerata centro del cristianesimo e la funzione di guida spirituale della Chiesa
passò ad altre città, come ad esempio Antiochia, eliminando cosi il possibile pericolo che il cristianesimo
non potesse mai abbandonare le fasce del giudaismo.
II. LA CHIESA IN PALESTINA
Fino al settimo capitolo del libro degli Atti l’interesse del lettore della storia della Chiesa è tenuto
desto dalle vicende della chiesa di Gerusalemme. Nei capitoli da otto a dodici, questo centro d’interesse si
allarga a comprendere la Giudea e la Samaria: il cristianesimo veniva portato a genti di altre razze.
Il viaggio di Filippo in Samaria (Atti 8:5-25) recò l’Evangelo ad un popolo che non era di
puro sangue ebreo. I Samaritani erano i discendenti degli appartenenti alle dieci tribù non deportati dagli
Assiri dopo la caduta di Samaria e dei coloni, provenienti da altre regioni del loro impero, stabilitivi da quei
conquistatori nel 725 a. C.. Da quel momento un’aspra inimicizia si era stabilita tra Giudei e Samaritani.
Ora a Pietro e Giovanni veniva chiesto di andare in Samaria ad aiutare Filippo per il continuo
ingrandirsi dell’opera che gli rendeva impossibile far fronte a tutti i bisogni. Questo risveglio fu la prima
breccia nella barriera razziale che si frapponeva alla diffusione dell’Evangelo. Sarà poi ancora lo stesso
Filippo, guidato dallo Spirito Santo, a completamento della sua opera in Samaria, a predicare l’Evangelo ad
un alto dignitario etiope.
Pietro, il primo a predicare l’Evangelo ai Giudei, fu anche il primo a recare ufficialmente l’Evangelo
ai Gentili.Dopo una visione che gli indico chiaramente che anche i Gentili avevano diritto all’Evangelo,
recatosi in casa di un centurione romano di nome Cornelio, fu stupito nel vedervi verificarsi le stesse
manifestazioni avvenute il giorno della Pentecoste (Atti capp. 10 e 11), e da quel momento in poi acconsentì
che i Gentili ascoltassero la parola della grazia. L’Etiope e Cornelio furono i primi Gentili che ebbero il
privilegio di ricevere il messaggio della grazia salvatrice di Cristo.
Benché quelli che erano stati costretti ad abbandonare Gerusalemme predicassero dapprima solo ai
Giudei (Atti 11: 20) dopo poco tempo una nuova chiesa composta di gentili sorgeva ad Antiochia, dove il
nome di cristiani, dato in segno di ridicolo dagli arguti Antiocheni ai seguaci di Cristo, fu e divenne il nome
onorato di questi ultimi.
Ad Antiochia Paolo iniziò il suo attivo ministerio pubblico tra i Gentili e di qui egli partì per i viaggi
missionari che l’avrebbero portato alla sua meta, la città di Roma. E quando dinanzi alle chiese dei Giudei,
si presentò lo spettro della carestia, la grande chiesa di Antiochia fu in grado di venire in loro soccorso.
Ma il compito di recare l’Evangelo ai Gentili ” fino alle estremità della terra ” non era terminato.
Quel compito iniziato da Paolo, continua ad essere la missione incompiuta della Chiesa di Cristo.

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