PERSECUZIONI (Ebrei 11:36; Romani 8:38,39)

Quando l’imperatore Nerone regnava a Roma, i cristiani erano già numerosi. Il tiranno si abbandonava a tutti i vizi e non esitava a compiere i crimini più efferati.
Nell’anno 64, Roma fu incendiata. La voce pubblica accusò l’imperatore di aver personalmente provocato questa tragedia per poterne ammirare lo spetta­colo.
Si dice che l’avrebbe contemplata dall’alto suonando la lira. Per distogliere da se il giusto furore popolare, Nerone accusò del crimine i cristiani e scatenò contro a loro una crudele persecuzione. Essi venivano gettati nel Tevere, cuciti in sacchi, venivano anche im­piccati e crocifissi. Alcuni di loro, spalmati di pece e attaccati a dei pali servivano da torce viventi per illuminare una festa offerta al popolo nei giardini imperiali.
Dio aveva i Suoi testimoni. Se ne trovavano perfino tra i più stretti collaboratori dell’Impera­tore. Essi pensavano ai loro fratelli e pregavano per loro. Nell’imminenza del supplizio, l’apostolo Paolo affermava la certezza della sua fede: «so in Chi ho creduto» e ancora: «Ho combat­tuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservata la fede» (2 Timoteo 1:12; 4:17). Pensando alle sofferenze di quei martiri, dovremmo vergognarci di lamentarci delle difficoltà e delle pene che possiamo essere chiamati ad attraversare. Che cosa sono rispetto alle loro? E se Dio li ha fortificati perché potessero sopportarle, non darà forse anche a noi l’aiuto necessario per superare vittoriosamente le no­stre prove?

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